Il linguaggio è severo e apocalittico, tipico di un vecchio stile superato dell’Antico Testamento, ma al di la’ delle immagini catastrofiche e sconvolgenti, che come più volte si è detto non vanno considerate letteralmente e con troppa facilità letteraria, si parla oggi di un avveniristico tempo di gioia e di salvezza che incute fiducia e speranza piuttosto che paura. L’evento a cui si riferisce il brano evangelico, che muove in sintonia con la prima Lettura dal libro di Geremia, si riferiscono ad un futuro immediato che riguarda la fine delle persecuzioni a cui è costretto il popolo d’Israele con l’avvento della liberazione e anche ad un futuro indefinito nel quale ci aspettano “cieli e terra nuova in cui regnerà per sempre la giustizia” (2Pt 3, 13), cioè l’epilogo della nostra storia e il ritorno glorioso di Cristo che verrà come giudice e salvatore definitivo. Poiché racchiude una promessa, l’attesa è quindi foriera di speranza e suscita interesse, attenzione e piacevolezza, un senso di benessere interiore che anticipa il compimento di quanto stiamo aspettando. Tali attesa e futuro che abbiamo appena descritto caratterizzano l’avvento. Si tratta infatti di un’attesa gioiosa di qualcosa di piacevole che sta per accadere, sia nel futuro prossimo immediato, sia nel futuro lontano anteriore e comporta una predisposizione e un incontro.
Nell’antichità precristiana il termine “avvento” (adventus) significava la venuta di un Imperatore e la preparazione del popolo alla sua accoglienza, come pure l’arrivo di una divinità pagana che veniva accolta e celebrata nel culto.
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