di Michelangelo Nasca per nobell.it
“Nostro Signore, sposando la povertà, ha talmente elevato il povero in dignità, che non lo si farà più scendere dal suo piedistallo. Gli ha dato un antenato, e che antenato! Gli ha dato un nome, e che nome!” (G. Bernanos). Nelle parole del celebre scrittore francese, Georges Bernanos, e nel pensiero teologico della Chiesa il povero è l’icona rappresentativa di Cristo. E’ oltremodo evidente constatare nella nostra società la distanza tra il Vangelo dei poveri e l’opulente interesse per i beni materiali, in un mondo contemporaneo “dove – ricordava alcuni anni fa Giovanni Paolo II – è così stridente il contrasto tra le forme antiche e nuove di cupidigia e le esperienze di inaudita miseria vissuta da fasce di popolazione di enorme ampiezza”.
E’ ancora Bernanos ad osservare lo scandalo di una insopportabile miseria che attira a sé l’uomo, costringendolo a prestarle ascolto, prospettando una giustizia senza amore e una sicurezza senza speranza: “Lo spettacolo che il mondo ci offre è quello di un’orribile miseria, e questa miseria è così profonda che finisce con l’assorbirci tutti. Comunichiamo nella miseria come Dio avrebbe voluto che comunicassimo nella sua speranza e nel suo amore” (Correspondance, II, 364). Povertà e ricchezza appaiono, così, in estrema antitesi con l’esperienza stessa della vita, eppure come dicevamo prima il povero è l’icona di Cristo!
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