Un altro commento, la lettera della madre di un ragazzo bocciato
Gentile direttore, sono pienamente in accordo con il parroco di Rustega e Fossalta, che ha definito peccatori quei ragazzi che si fanno bocciare (commento di Ferdinando Camon del 7 luglio, “Ma la bocciatura è peccato”). Pienamente in accordo ancor più perché madre di tre ragazzi, il più grande dei quali quest’anno si è fatto bocciare per la seconda volta. E noi come genitori, credo, non possiamo rimproverarci nulla; abbiamo tentato ogni sorta di strada, dall’aiuto al rimprovero, dalla punizione alla gratificazione, dalla parola al silenzio, dall’accoglienza all’estromissione. Senza contare tutti i denari spesi in lezioni, libri,
consulenze con specialisti e via così. Sempre con il medesimo amaro risultato: la poca o quasi nulla voglia di studiare. E immagino quante altre famiglie siano in questa situazione. Quest’anno abbiamo deciso di iscriverlo presso una scuola privata (privata davvero!), dove mi auguro gli insegnanti riescano quanto meno a destare in lui un po’ di amor proprio. Ma a quale prezzo! Ma che fare altrimenti? Non c’è alternativa: oggi nessuno prenderebbe a lavorare un ragazzo di 16 anni e d’altro canto noi come genitori abbiamo il dovere di impedire a nostro figlio di perdersi, abbiamo il dovere di batterci perché nostro figlio comprenda una volta per tutte che la vita è una sola e che ci è stata donata per viverla fino in fondo con grande passione, al di là del discorso scuola. Il sacrificio non è solo nostro di genitori, ma anche degli altri due figli in termini di attenzioni e di piccole rinunce. Purtroppo però oggi, scuola compresa, non dà il giusto peso al valore educativo della promozione; anzi sempre più spesso i professori stessi dicono che in fondo non è poi un dramma la bocciatura, anzi forse è occasione per il ragazzo di maturare. Ma a me personalmente vien da pensare che è vero proprio l’esatto opposto, cioè solo attraverso un cammino scolastico regolare e serio, si può dire: il ragazzo “matura”.
La verità è che noi famiglie siamo sempre più sole nell’educazione dei figli, nel bene e nel male; in una società in cui cuore e pensiero non sono in sintonia e in equilibrio c’è ben poco da fare, soprattutto per quei ragazzi, che più di altri, si attardano sul sentiero della vita per mille motivi diversi. Ce ne vorrebbero di voci, e di anime, come quella del sacerdote di Rustega e Fossalta che raccontino la verità a questi figli smarriti, che gliela gridino in faccia senza remore, facendoli sobbalzare seriamente, che la vita è cosa seria e va vissuta con sentimento, con forza, con nobiltà affinchè «le idee, ben animate dalle passioni, divengano attive e facciano storia. Una storia più soddisfacente». (U.Galimberti, L’ospite inquietante, pag. 56). Io sono convinta come madre di dover continuamente essere di esempio ai miei figli, spronandoli a non indugiare, a non attardarsi per strada, a non pensare che ciò che non ho fatto oggi posso benissimo farlo anche domani, perché non so se ci sarà un domani, e non tutto ciò che faccio va remunerato o premiato, ma c’è anche un “lavoro” che va fatto e basta. Io come madre e mio marito come padre, noi come famiglia, ma noi come famiglia abbiamo bisogno che anche che chi naviga intorno ai nostri ragazzi abbia il coraggio di prendere una posizione e che si accolli una volta per tutte la fatica di educare. È troppo comodo dire: “Pazienza, ci vuole tanta pazienza, vedrete che il figliolo maturerà”… alla fine ha finito per crederlo anche mio figlio.
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