di Antonio Spadaro, sj
Il 18 ottobre Benedetto XVI ha firmato il suo messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù 2013 di Rio de Janeiro. In questo ampio e ricco messaggio ci sono anchealcune parole che fanno riferimento al «progresso tecnico» che sono state interpretate in vario modo, a mio avviso anche errato. Ecco il passaggio al quale mi riferisco:
«Stiamo attraversando un periodo storico molto particolare: il progresso tecnico ci ha offerto possibilità inedite di interazione tra uomini e tra popolazioni, ma la globalizzazione di queste relazioni sarà positiva e farà crescere il mondo in umanità solo se sarà fondata non sul materialismo ma sull’amore, l’unica realtà capace di colmare il cuore di ciascuno e di unire le persone».
Queste parole sono state interpretate come un invito alla «prudenza», come a dire: «sì, ma fino a un certo punto». E’ davvero così? Sono un semplice invito all’essere in Rete purché ciò avvenga con moderazione?
Il problema di fondo, a mio avviso, nella lettura di queste righe è più ampio e riguardauna certa ermeneutica del cattolicesimo che definirei una sorta di ermeneutica della moderazione ad oltranza.
Si fraintende la «prudenza» cristiana con la «moderazione» umana, come se la cultura cattolica sia solo una versione minore di quella non cattolica: fa il rock, ma a volume più basso; fa cinema, ma con più garbo; dice quello che dicono tutti, ma un po’ dopo; naviga in rete, ma senza andare troppo al largo…
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Io credo che l’essere umano debba innanzitutto ESSERE. Se pensa ad AVERE, di qualunque oggetto si parli, l’essere umano diverrà schiavo di ciò che crede di possedere. Pensiamo per esempio a chi ha una casa, accogliente, grande, ricca dei comfort più svariati. Avrà paura ad allontanarsene anche solamente per un istante, perché in sua assenza potrebbero arrivare i ladri. Anche le tecnologie moderne, come per esempio l’informatica, sono importanti se siamo noi ad usarle. Se ne diventiamo schiavi, allora il discorso cambia.