di Alessandro D’Avenia
«L’altro giorno una collega mi ha detto che non può perdere tempo ad ascoltare i ragazzi perché deve completare il programma. Io forse non finirò il programma, ma credo che i miei cento studenti un giorno ricorderanno quella strana insegnante che anche alla quinta ora fa l’appello. Non so se sono una brava insegnante ma mi dedico tanto ai ragazzi che mi vengono affidati ogni giorno. Peccato che poi qualcuno abbia deciso di valutarmi in base alle crocette da apporre su un test di un fantomatico concorso. Che umiliazione! Fare l’insegnante è un’altra cosa e non saranno le crocette a fermarmi». Questo è uno dei tanti messaggi che ho ricevuto da docenti precari in occasione del concorso che stanno affrontando per ottenere un posto stabile, quando già insegnano da anni ma solo per coprire i buchi di un sistema che del precariato ha fatto la regola: dal 1999 solo tre concorsi ordinari (per legge dovrebbero essere triennali), delle 850 mila cattedre della nostra scuola italiana sono scoperte circa 250 mila (precari e supplenti costano meno). E così basta un quiz di cui riporto solo un esempio così che possiate farvi una tragica idea: «Tra le maggiori esportazioni armene si trova: Ceramica, Generi alimentari, Prodotti farmaceutici, Rame». Basta rispondere a simili domande per saper insegnare? Quanti di noi già in ruolo supererebbero il test?

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