Ecco il testo dell’orazione pronunciata dall’inviata di Avvenire Lucia Bellaspiga martedì 10 a Montecitorio, che ha introdotto il “Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata”, presente il capo dello Stato, Sergio Mattarella, la presidente della Camera, Laura Boldrini e il presidente del Senato, Pietro Grasso.
La mia prima volta a Pola, da bambina, è il ricordo di mia madre che piange aggrappata a un cancello. Un’immagine traumatica, che allora non sapevo spiegarmi. Eravamo là in vacanza, il mare era il più bello che avessi mai visto, le pinete profumate: perché quel pianto? Al di là di quel cancello una grande casa che doveva essere stata molto bella, ma che il tempo aveva diroccato. Alle finestre i vetri blu, “erano quelli dell’oscuramento” mi disse mia madre, eppure la seconda guerra mondiale era finita da trent’anni. Tutto era rimasto come allora. La finestra si aprì e una donna gentile, con accento straniero, capì immediatamente: “Vuole entrare?”, chiese a mia madre. Solo adesso comprendo la tempesta di sentimenti che doveva agitare il suo cuore mentre varcava quella soglia e rivedeva la sua casa, la cucina dove era risuonata la voce di mia nonna, le camere in cui aveva giocato con i fratelli. Sono passati molti anni prima che io capissi davvero: la scuola certo non ci aiutava, censurando completamente la tragedia collettiva occorsa nelle terre d’Istria, Fiume e Dalmazia, e d’altra parte molti dei testimoni diretti, gli esuli fuggiti in massa dalla dittatura del maresciallo Tito e dal genocidio delle foibe, rinunciavano a raccontare, rassegnati a non essere creduti. Ciò che durante e dopo la II guerra mondiale era accaduto in decine di migliaia di nostre famiglie restava un incubo privato da tenere solo per noi perché al resto degli italiani non interessava. Eppure era storia: storia nazionale…
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