di Luigi Alici
Il pezzo di Vittorio Messori appena apparso sul “Corriere della sera” è un insopportabile esercizio di giornalismo obliquo, che lascia trapelare un messaggio inequivocabile più per quello che non dice che per quello che dice. Mettiamola così: immaginiamo che durante il pontificato di Benedetto XVI qualcuno avesse espresso su di lui “un giudizio mutevole a seconda dei momenti, delle occasioni, dei temi”, ritenendo che alcune sue scelte appaiono convincenti, mentre altre poco opportune, “magari sospette di un populismo capace di ottenere un interesse tanto vasto quanto superficiale ed effimero”, e aggiungendo che questi aspetti “paiono – e forse sono davvero – contraddittori”. A quel punto non è inimmaginabile che Vittorio Messori avrebbe potuto scrivere un articolo di segno opposto a quello appena pubblicato: forse avrebbe detto che parlare di un papa solo in parte affidabile equivarrebbe a giudicarlo sostanzialmente inaffidabile (può forse un papa essere affidabile al 50%?). Avrebbe inoltre potuto aggiungere che un “cristiano medio” non “deve pensare in proprio”, ma “seguire il papa” (questo l’ha proprio scritto), lasciandosiinterpellare integralmente dal suo magistero, senza selezionare solo gli aspetti che piacciono di più. Infine, avrebbe forse potuto aggiungere che il rimanere prigionieri delle proprie idee è l’ostacolo maggiore a una vera conversione; quello che impedisce a un cristiano di essere un vero cristiano…
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