C’è un quadro di Boccioni di cui mi sono innamorato. Si intitola “La strada entra nella casa”, dipinto nel 1911. Una donna, le cui fattezze sono della madre del pittore, affacciata al balcone guarda la città dall’alto e, in un movimento a spirale di edifici e uomini dediti a diverse attività, la strada sembra riversarsi come un fiume danzante dentro la casa, attraverso lo sguardo vigile e attento della donna. Guardandolo mi sono chiesto: come guardiamo la strada o come lei entra nel nostro sguardo? Lo sguardo stanco di molti, la lamentela come tema dominante dei discorsi, il disincanto sulle cose più belle, l’amore in primis, mi suggeriscono che tutto, al contrario di quel quadro, diventa immobile, vecchio, ripetitivo, incolore, stantio. La grande promessa di vita sembra non poter esser mantenuta. Il paradiso si manifesta in singoli e fugaci istanti di pienezza non in qualcosa di duraturo e stabile. Cercare questi istanti è la goccia di miele nell’esilio? Dov’è il nuovo che dà vita a ogni cosa in ogni momento del giorno e in modo duraturo? Devo rassegnarmi all’opacità del quotidiano o c’è altro?
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