di Luigi Accattoli
Su Giovanni Paolo II non finirei di dire. Gli ho dedicato sei tra volumi e volumetti e forse tremila articoli. Ho scelto di raccontare un incontro privato e di far parlare – poi – un collega che mi ebbe a confidare, vicino a morire, di aver ricevuto da quel Papa un forte aiuto a credere.
L’incontro risale al dicembre del 1989, quando fui invitato da don Stanislaw alla messa del mattino nella cappella dell’appartamento privato. Avevo appena pubblicato da Mondadori un volumetto a quattro mani scritto con il collega Domenico Del Rio e intitolato Wojtyla il nuovo Mosè. Il Papa lo lesse durante un viaggio africano e chiese al portavoce Joaquin Navarro-Valls se c’erano, su quell’aereo, gli autori del libro. Il portavoce rispose che l’uno c’era ma l’altro – cioè io
– no “perché ha la moglie molto malata”. La mia prima moglie infatti era colpita da tumore al seno e sarebbe morta un anno più tardi.
Veniamo invitati alla messa – io, mia moglie e i quattro nostri figli – e siamo colpiti come tutti dalla concentrazione del Papa nella preghiera e nelle lunghe pause di silenzio, che facevano durare per un’ora quella celebrazione senza omelia. La più piccola dei miei figli, che ha due anni, si addormenta in braccio a me e verso la fine della messa si risveglia e dice ad alta voce “Mamma!”. Il Papa nella conversazione che abbiamo subito dopo prende in braccio la bambina, si complimenta per la sua bravura in cappella e osserva: “Ma un momento si è sentita!”.
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