di Luigi Alici
Due scritti mi hanno particolarmente colpito in questi ultimi giorni, tra loro infinitamente distanti e che tuttavia sento in qualche modo di non poter separare.
Il primo è il racconto di Domenico Quirico, il giornalista italiano liberato dopo 152 giorni di prigionia, riportato su “La stampa” del 10 settembre. Un racconto breve e straziante, come un pugno nello stomaco. «Ostaggio in Siria, tradito dalla rivoluzione che non è più ed è diventata fanatismo e lavoro di briganti… La Siria è il Paese del Male; dove il Male trionfa, lavora, inturgidisce come gli acini dell’uva sotto il sole d’Oriente». Città devastate, una guerra per bande in cui il confine tra bene e male rischia di essere schiacciato da una violenza gratuita, allo stato puro. I due ostaggi, Quirico e Piccinin, sono continuamente spostati sotto bombardamenti incessanti, attraverso campi e frutteti violentati dal fuoco delle armi: «C’erano anche alcuni vecchi personaggi omerici che si avviavano da soli verso le linee dell’esercito di Bashar e venivano falciati dalle mitragliatrici»…
Il secondo testo è la lettera che papa Francesco ha scritto per entrare in dialogo con Eugenio Scalfari. In comune c’è il primato di una fede semplice, che parla il linguaggio pacificante del dialogo e che per questo annuncia un modo diverso di vincere il male. «Il dialogo – scrive papa Francesco – non è un accessorio secondario dell’esistenza del credente: ne è invece un’espressione intima e indispensabile». La fede che nasce dall’incontro personale con Gesù dona un senso nuovo all’esistenza, ma è vissuta nella Chiesa e custodita nei «fragili vasi d’argilla della nostra umanità». L’autorità di Gesù è diversa da quella del mondo, immette in una logica di servizio e di libertà,
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