Il caro estinto


René-Magritte-Il-Maestro-di-scuola-1955L’ADi, associazione docenti italiani, propone un’interessante riflessione sulla scuola.

In quel primo sgarrupato Collegio d’inizio d’anno, aleggiavano insieme impotenza e ribellione. C’era  nell’aria l’idea che qualcosa dovesse cambiare per non morire travolti dai 1800 studenti di quell’istituto tecnico e professionale,  scorrazzanti per i corridoi del bunker, incapaci di reggere sei ore filate di lezione.  Così quando il preside annunciò che c’era un’innovazione per il loro istituto nel decreto scuola appena varato, ci fu un boato incontenibile. Non era una grande cosa, disse, e con fare sornione aggiunse: ”ma sono i dettagli che fanno grandi i piani, e si tratta di un tocco davvero geniale.”

L’immaginazione si scatenò.   Che cosa avranno mai introdotto in un istituto tecnico e professionale, dove la riforma ha dimezzato i laboratori, che ha il 30% di bocciati in prima, un assenteismo cronico pressoché irrecuperabile. Lo annunciò il preside: “Colleghi, gioiamo, il decreto di ieri ha rimesso la geografia al biennio!” 

 

Al boato seguì  un inerte accasciamento.  Il prof di lettere, detto D’Annunzio, per quella barbetta aguzza e i baffetti all’insù, si afflosciò e non proferì più verbo. Dal gruppo dei giovani precari si alzò una voce irridente: “Preside, un po’ di sali per il caro estinto”. E in effetti il D’Annunzio sembrava l’incarnazione della morte della scuola, quella del secolo scorso che, ignavi, trasciniamo nel nuovo millennio.

Dare sepoltura ai miti estinti

Dare sepoltura ai miti estinti

Il preside, un entusiasta, vincitore dell’ultimo concorso, che aveva seguito i corsi ADI, e all’associazione era rimasto attaccato con gratitudine, esordì:

“Colleghi ragioniamo insieme, vi ricordate la famosa frase di Einstein Il mondo non sarà distrutto da chi fa il male, ma da chi rimane a guardare senza fare nulla? Bene, io credo che noi non possiamo più rimanere a guardare…” e azzardò, abbassando il tono “… mentre sindacati e  partiti perpetuano una politica suicida.” Si fermò, scrutò il Collegio. Aveva osato troppo.

Voleva capire se poteva continuare o se era meglio procedere con il primo canonico punto all’odg. Tranne la prof di scienze che utilizzava regolarmente i collegi per ritoccarsi le unghie con smalti dai colori improbabili, gli altri non parvero né indifferenti né ostili.
A quel punto sistemò il computer e prima di proiettare la slide che aveva preparato anticipò:

“Io credo che  ci sarà rigenerazione dell’insegnamento solo quando avremo dato sepoltura ai miti  che l’hanno l’avvolto nel secolo scorso, e che sono oggi artatamente mantenuti in vita per preservare lo status quo”. Tornò a scrutare il Collegio, non vide segnali di insofferenza.

Prese coraggio. ”Bene, ho preparato una slide, in cui ho affiancato quelli che io ritengo siano i miti estinti ainuovi principi che dovrebbero guidare la nostra azione. Mi piacerebbe discuterla con voi. E’ un’analisi generale, non dovete sentirvi presi di mira. Non è assolutamente questa la mia intenzione”. E sullo schermo comparve la slide.

I MITI ESTINTI

I PRINCIPI EMERGENTI

L’insegnamento come attività individuale: il bravo insegnante solitario,il cui mito vive nonostante la scuola di massa  e il milione di insegnanti in servizio. E’ la convinzione fallace che il solo potere dei singoli sia in grado di cambiare il sistema. L’insegnamento come lavoro di squadra. Il gruppo è molto più potente del singolo. Servono i singoli, ovviamente, ma i singoli soggetti non cambieranno il sistema se non collaboreranno e non svilupperannoun’impresa collettiva.
La libertà di insegnamento come “insindacabile dote” individuale L’autonomia della professione,contemperata dal codice deontologico e valorizzata dagli standard professionali(“che cosa devono sapere e saper fare gli insegnanti”)
L’anzianità di servizio come riconoscimento di qualità sia in ingresso sia in itinere (progressione di carriera) Il merito come principio di selezione iniziale e come criterio regolatore dell’articolazione di carriera
La formazione in servizio come attività discrezionale (corollario di un’interpretazione distorta della libertà di insegnamento) La formazione in servizio come sviluppo professionale continuo, attraversonetwork professionali, sempre più sostenuti dalle tecnologie digitali
L’unicità della funzione docente(riaffermata dall’art. 21 L. 59/97, “l’individuazione di nuove figure professionali del personale docente, ferma restando l’unicità della funzione”) La multiformità e diversificazione della professione docente
L’uniformità dell’orario di servizio come corollario dell’unicità della funzione La differenziazione dell’orario di servizio in connessione alla molteplici tipologie di insegnante e all’articolazione delle figure professionali
La competitività come valore La collaborazione e condivisione delle responsabilità di docenti e dirigenti a livello di scuola e di rete, insieme impegnati nei confronti della buona riuscita di tutte le scuole del proprio territorio
La collegialità ritualistica La co-costruzione dell’attività di insegnamento/apprendimento basata sui “dati”
Il Collegio docenti come sede “politica” del potere degli insegnanti (riproposto nell’infinito dibattito sugli OOCC) Sedi tecniche adeguate in cui esercitare effettive competenze e responsabilità di cui si deve rendere conto
Lo statalismo come unica invasiva, deresponsabilizzante modalità di gestione La decentralizzazione come modalità democratica, articolata di gestione, che si adatta ai bisogni differenziati della popolazione e ne risponde

Che fare?

Che fare?“E’ evidente”, disse il preside, “che noi non possiamo intervenire su tanti dei punti che vi ho indicato, poiché richiedono provvedimenti legislativi e coerenti norme contrattuali. Penso ad esempio alla formazione iniziale e al dramma del reclutamento che da decenni riproduce precariato, scarta i giovani e si fa beffa del merito.
Però ci sono cose su cui dobbiamo cominciare a ragionare e su cui possiamo innescare interventi di miglioramento, pur in una situazione difficile come la nostra.

Voi non potete scegliere i vostri studenti, come io non posso scegliere i miei insegnanti, quindi bisogna lavorare bene insieme, collaborare per trarre il meglio da tutti. Se un insegnante desidera  continuamente  avere studenti diversi, migliori di quelli che ha, compie un grave errore. Se un dirigente pensa che solo avendo insegnanti diversi potrebbe lavorare meglio, sicuramente  non sta facendo bene il suo lavoro.

Certo, servono persone in gamba,  ma i singoli non cambieranno il sistema se non collaboreranno e non svilupperanno un’impresa collettiva.”

La costruzione del capitale sociale e decisionale

La costruzione del capitale sociale e decisionale“Nel breve periodo, finché non riusciremo ad attrarre un più qualificato capitale umano nella scuola, finché non si saranno realizzate politiche efficaci di formazione iniziale e di reclutamento degli insegnanti, in questa attesa che durerà ancora anni, la cosa veramente importante è aumentare il capitale sociale nella scuola, accrescere la collaborazione e la fiducia, fiducia fra colleghi, fra insegnanti e dirigente, fra insegnanti e studenti, fra insegnanti e genitori.

Ma non basta. Dobbiamo anche aumentare il nostro capitale decisionale, così lo chiama Andy Hargreaves. Si tratta della capacità di analizzare insieme i dati, valutare e assumere collegialmente decisioni pertinenti in situazioni complesse. Quando i dati sono usati bene, si crea un dialogo sulla situazione reale degli alunni che consente di predisporre azioni rapide per evitare che rimangano indietro, ma anche azioni per valorizzare i bravi.

In conclusione i dati non vi danno la soluzione, ma sono la premessa per la ricerca delle soluzioni per ciascuno studente. Vorrei aggiungere che in Finlandia, in Canada, a Singapore, in tutti questi Paesi che hanno alti livelli di prestazione degli studenti, quando una classe è in difficoltà, gli insegnanti di tutte le altre classi intervengono per portare aiuto. Non dicono: “E’ una cosa che non mi riguarda, che non mi compete”. Al contrario dicono: “Siamo tutti responsabili degli studenti che appartengono alla nostra comunità. Se una classe va  male  dobbiamo tutti insieme aiutarla in fretta  a risollevarsi”. Insomma ogni insegnante è responsabile di tutti gli alunni della scuola, non solo dei suoi”.

Il rischio del castello di sabbia

Il rischio del castello di sabbiaCerto il preside era stato molto coinvolgente, appassionato, ma non era riuscito a convincere.

Un giovane precario, che nella sua breve carriera aveva già girato dieci scuole e aveva sentito molte versioni del “volemose bene”, si fece coraggio e chiese la parola.

“Preside”, iniziò, “non c’è dubbio che la collaborazione, il lavoro di squadra siano indispensabili, ma non si danno né con lo spontaneismo né  con la sola buona volontà, ci vogliono competenze e un’organizzazione adeguata.
Vorrei aggiungere che ci sono ostacoli che sembrano vanificare tutti i nostri sforzi: gli attuali curricoli dei tecnici e dei professionali, l’assurda ripartizione dell’orario fra discipline di carattere generale e di specializzazione, l’assenza di una cospicua attività tecnico pratica professionalizzante, la mancanza di opzionalità, la continua girandola di noi  precari, le fughe dei colleghi di ruolo che ogni anno chiedono  trasferimenti, tutto questo fa sì che per quanto ci danniamo, alla fine costruiamo solo castelli di sabbia, che crollano al primo spirare del vento o alla prima pioggia.
Bisogna pensare a qualcosa di più solido e sostenibile”.

Stupito di avere osato tanto si sedette.

L’articolo 11 del DPR 275/99

L’articolo 11 del DPR 275/99 Il preside in fondo non aspettava altro. Colse la palla al balzo.

“Una possibilità ci sarebbe” attaccò “C’è un articolo nel DPR 275/99, il Regolamento dell’autonomia, che può aiutarci. E’ l’articolo 11, potrei citarvelo a memoria. Porta il titolo di  Iniziative finalizzate all’innovazione, e dice più o meno così:

Il Ministro della pubblica istruzione promuove progetti in ambito nazionale, regionale e locale, volti a esplorare possibili innovazioni riguardanti gli ordinamenti degli studi, la loro articolazione e durata, l’integrazione fra sistemi formativi, i processi di continuità e orientamento.  Possono essere definiti nuovi curricoli e nuove scansioni degli ordinamenti degli studi. Possono anche essere riconosciute istituzioni scolastiche che si caratterizzano per l’innovazione nella didattica e nell’organizzazione. 
Insomma potremmo ridisegnare i curricoli e  anche  ridefinire gli studi in 4 anni, facendoli concludere alla maggiore età dei ragazzi. Che dite?”

L’istituto a statuto speciale

L’istituto a statuto specialeA quel punto si alzò un iscritto ADi, un fedelissimo che aveva seguito a Castellamare di Stabia il 5° congresso dell’Associazione e aveva votato convinto le linee programmatiche.

“Possiamo cominciare di lì, ma dobbiamo andare oltre. Dobbiamo chiedere che si istituiscano Istituti a statuto speciale, che siano veri centri di innovazione, che possano contare su ampie forme di autonomia in ambiti cruciali, che riguardano non solo il curricolo, ma anche la condizione degli insegnanti. E dovrebbero partire proprio dagli istituti tecnici e professionali.

Dobbiamo valorizzare questo tipo di formazione. E’ davvero importantissimo”.

Chissà, forse qualcosa si stava muovendo …

Il caro estinto rialzò la testa, e se ne andò più curvo che mai.


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