18 ore, un mantra?


Giancarlo Cerini provoca le intelligenze sulla questione dell’orario di lavoro degli insegnanti.

Allora, chi ha vinto?

Difficile parlare di orari di lavoro degli insegnanti, di questi tempi, tra improvvide manovre finanziarie e scontatissime reazioni “piccate” degli insegnanti. Questo “confronto” muscolare l’abbiamo già visto in altre occasioni (come non ritornare al “concorsone” di Luigi Berlinguer, ministro carismatico ma costretto alle dimissioni dalla protesta dei docenti). Anche questa volta gli insegnanti hanno vinto (stando agli emendamenti soppressivi del Parlamento sulla proposta di elevare l’orario frontale da 18 a 24 ore settimanali di insegnamento), ma il rischio è che per un altro decennio la condizione docente resti invariata e scivoli inesorabilmente verso la marginalità… Colpa di governanti insensibili – si dirà – ma forse c’è dell’altro…. E’ di questo altro che vorrei parlare, avvalendomi di un bel dibattito in rete, sul network “Chiamalascuola” (un gruppo che su facebook conta ormai oltre un migliaio di aderenti). Qualche serata fa è stato organizzato un focus flash mob sul tema. Non riporto gli oltre 200 interventi, leggibili in rete, ma una mia parzialissima e personale sintesi [con alcuni inserti in corsivo, ripresi dal dibattito in rete].

 Oltre l’orario in classe, c’è dell’altro…

La questione dell’orario di lavoro dei docenti è controversa: nell’insegnamento c’è un quid di professionalità che fatica a stare dentro a conteggi di ore e di minuti, ma c’è anche l’esigenza di apprezzare e far “vedere” pubblicamente la qualità/quantità del lavoro effettivamente svolto. Ma non sceglierò in questa sede né un approccio sindacale (il contratto di lavoro), nè giuridico (i diritti/doveri, le ore obbligatorie o meno), nè politico (la presunta insensibilità della politica verso la scuola), ma strettamente culturale e professionale (che cos’è o dovrebbe essere, oggi, il mestiere dell’insegnare).

Occorre però far uscire il dibattito dalla trincea delle 18 ore frontali. Perché sembra una difesa d’ufficio dell’esistente: anche perché c’è chi già svolge 25 ore frontali -come gli insegnanti di scuola dell’infanzia. Il tema vero è il valore e l’intensità del lavoro, con la sua evasiva regolazione contrattuale (ferma a 40 anni fa), con il mancato riconoscimento sociale che è legato alla scarsa visibilità sociale del contenuto professionale (certamente si fa lezione, ma occorre anche studiare, documentarsi, preparare la didattica, correggere i compiti, incontrare genitori e colleghi, curare l’aggiornamento, ecc. tutti elementi spesso lasciati nel “limbo” del dover essere).

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