Pregare è parlare con Dio


Benedetto XVI ci aiuta a capire cosa sia la preghiera per i cristiani, cogliendo l’occasione della festa di S. Domenico di Guzman

Secondo le testi­monianze delle persone a lui più vicine, «egli parlava sempre con Dio o di Dio». Ta­le osservazione indica la sua comunione profonda con il Signore e, allo stesso tem­po, il costante impegno di condurre gli al­tri a questa comunione con Dio. Non ha lasciato scritti sulla preghiera, ma la tra­dizione domenicana ha raccolto e tra­mandato la sua esperienza viva in un’o­pera dal titolo: Le nove maniere di prega­re di San Domenico. Questo libro è stato composto tra il 1260 e il 1288 da un frate domenicano; esso ci aiuta a capire qualcosa della vi­ta interiore del santo e aiu­ta anche noi, con tutte le differenze, a imparare qualcosa su come pregare. Sono quindi nove le ma­niere di pregare secondo san Domenico e ciascuna di queste, che realizzava sempre davanti a Gesù Crocifisso, esprime un at­teggiamento corporale e u­no spirituale che, intimamente compe­­netrati, favoriscono il raccoglimento e il fervore. I primi sette modi seguono una linea ascendente, come passi di un cam­mino, verso la comunione con Dio, con la Trinità: san Domenico prega in piedi in­chinato per esprimere l’umiltà, steso a ter­ra per chiedere perdono dei propri pec­cati, in ginocchio facendo penitenza per partecipare alle sofferenze del Signore, con le braccia aperte fissando il Crocifisso per contemplare il Sommo Amore, con lo sguardo verso il cielo sentendosi attirato nel mondo di Dio. Quindi sono tre forme: in piedi, in ginocchio, steso a terra; ma sempre con lo sguardo ri­volto verso il Signore Cro­cifisso. Gli ultimi due mo­di, invece, su cui vorrei sof­fermarmi brevemente, corrispondono a due pra­tiche di pietà abitualmen­te vissute dal santo. Innan­zitutto la meditazione per­sonale, dove la preghiera acquista una dimensione ancora più inti­ma, fervorosa e rasserenante. Al termine della recita della Liturgia delle Ore, e do­po la celebrazione della Messa, san Do­menico prolungava il colloquio con Dio, senza porsi limiti di tempo. Seduto tran­quillamente, si raccoglieva in se stesso in atteggiamento di ascolto, leggendo un li­bro o fissando il Crocifisso. Viveva così in­tensamente questi momenti di rapporto con Dio che anche esteriormente si pote­vano cogliere le sue reazioni di gioia o di pianto. Quindi ha assimilato a sé, medi­tando, le realtà della fede. I testimoni rac­contano che, a volte, entrava in una sorta di estasi con il volto trasfigurato, ma subito dopo riprendeva umilmente le sue attività quotidiane ricaricato dalla forza che vie­ne dall’Alto. Poi la preghiera durante i viag­gitra un convento e l’altro; recitava le Lo­di, l’Ora Media, il Vespro con i compagni, e, attraversando le valli o le colline, con­templava la bellezza della creazione. Al­lora dal suo cuore sgorgava un canto di lo­de e di ringraziamento a Dio per tanti do­ni, soprattutto per la più grande meravi­glia: la redenzione operata da Cristo.
Cari amici, san Domenico ci ricorda che all’origine della testimonianza della fede, che ogni cristiano deve dare in famiglia, nel lavoro, nell’impegno sociale, e anche nei momenti di distensione, sta la pre­ghiera, il contatto personale con Dio; so­lo questo rapporto reale con Dio ci dà la forza per vivere intensamente ogni avve­nimento, specie i momenti più sofferti. Questo santo ci ricorda anche l’impor­tanza degli atteggiamenti esteriori nella nostra preghiera. L’inginocchiarsi, lo sta­re in piedi davanti al Signore, il fissare lo sguardo sul Crocifisso, il fermarsi e racco­gliersi in silenzio, non sono secondari, ma ci aiutano a porci interiormente, con tut­ta la persona, in relazione con Dio. Vorrei richiamare ancora una volta la necessità per la nostra vita spirituale di trovare quo­tidianamente momenti per pregare con tranquillità; dobbiamo prenderci questo tempo specie nelle vacanze, avere un po’ di tempo per parlare con Dio. Sarà un mo­do anche per aiutare chi ci sta vicino ad entrare nel raggio luminoso della presen­za di Dio, che porta la pace e l’amore di cui abbiamo tutti bisogno.


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Un pensiero riguardo “Pregare è parlare con Dio

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  1. Domenico fu detto; e io ne parlo
    sì come de l’agricola che Cristo
    elesse a l’orto suo per aiutarlo.

    Ben parve messo e famigliar di Cristo:
    ché ’l primo amor che ’n lui fu manifesto,
    fu al primo consiglio che diè Cristo.
    (Paradiso canto xii)

    Fu chiamato Domenico; ed io lo presento come l’agricoltore che Cristo scelse per far fruttificare il suo orto, la Chiesa.
    A buon diritto apparve nunzio e servitore di Cristo, poiché il primo amore che si manifestò in lui, fu per la povertà, il primo precetto che diede Cristo.
    Fu al primo consiglio che dié Cristo: Dante può riferirsi alla prima delle Beatitudini (“Beati i poveri in spirito”; Matteo V, 3; cfr. anche Luca VI, 20) oppure alla risposta data da Cristo al giovane che Gli aveva chiesto come raggiungere la salvezza eterna: “va’, vendi quanto hai, dallo ai poveri… poi vieni e seguimi” (Matteo XIX, 21). Preferibile la prima interpretazione, che sottolinea il motivo, ribadito nella terzina seguente, della povertà come umiltà di spirito.

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