Sottovalutare l’emergenza della Valle del Sacco significherebbe perseverare in un errore che si è pagato, e si continua a pagare, anche e soprattutto in termini di vite umane
Così Ivano Ciccarelli, in un articolo riportato da blog , sito dell’Associazione Salviamo il paesaggio, commenta la situazione nella Valle del Sacco, paragonandola a quella di Seveso del 1976. Parte da lontano la considerazione di Ciccarelli: dal 1990, quando nella parte settentrionale della Valle furono individuate tre discariche abusive di rifiuti industriali. L’anno successivo poi, una una perizia tecnica sulle acque e i terreni adiacenti rilevò la presenza di inquinanti organoclorurati e metalli pesanti.
Quindici anni dopo, nel 2005, a seguito dei livelli elevati di beta-
esaclorocicloesano (ß-HCH, sostanza chimica derivante dalla produzione di pesticidi organoclorurati) rinvenuti in campioni di latte di mucca provenienti da aziende locali, venne riconosciuto e dichiarato per la Valle del Sacco lo stato d’emergenza ambientale.
Emergenza confermata dai dati della Commissione Sanità della Regione Lazio, che nel 2009 rende noto come il ß-HCH sia risultato presente in ben 246 campioni di sangue prelevato tra i cittadini della zona.
Arriva poi al 2012:
dopo che, soltanto pochi mesi prima, l’Ufficio Commissariale per l’Emergenza nel bacino del Fiume Sacco ha dichiarato la fine dello stato di emergenza ambientale, l’ASL Roma G rileva che nelle acque di Colleferro destinate ad uso pubblico e potabile, oltre a ferro e manganese ben al di sopra dei limiti consentiti, vi sono dosi massicce e diffuse di ß-HCH. A riprova che, nonostante le presunte attività di bonifica effettuate nel corso degli anni, il velenosissimo beta-esaclorocicloesano non ha mai smesso di inquinare le acque e il territorio dell’intera area.
Qui il post originale seveso-1976-valle-del-sacco-2012-una-storia-destinata-a-ripetersi
E a Ceccano?
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