Il vero pericolo per i cattolici: il “partito trasversale dell’individualismo”


di Luigi Alici

I laici cattolici che non vogliono vivere in modo defilato e parassitario rispetto alle proprie responsabilità civili e politiche sono capaci di condividere attivamente impegni e progetti? Quale potrebbero essere, in positivo, il loro contributo alla rinascita del paese, in questo difficile momento di transizione? Una riflessione di Luigi Alici* su “cattolici e partito trasversale dell’individualismo”.

Se immaginassimo la modernità come un gigantesco cantiere nel quale sono stati allestiti grandi progetti di liberazione, radicalmente antitetici (ragione e passioni, individualismo e collettivismo, libertà e uguaglianza, materialismo e idealismo, ateismo e cristianesimo…) e per questo irriducibilmente confittuali, possiamo dire che l’epoca dei “post” in cui oggi viviamo (postmoderno, postmetafisico, postumano, postsecolare…) ha dato il meglio di sé nel decostruire quei progetti. Molti edifici culturali, politici, ideologici sono stati “smontati”, impietosamente ridimensionati e demitizzati, ma ormai sono esaurite le scorte, senza che siano stati fatti altri investimenti (di ordine progettuale e simbolico); la materia prima è esaurita, il ciclo produttivo si sta interrompendo, non resta che la messa in liquidazione della società… Manca persino quel collante civile elementare, senza il quale una società non sta in piedi, e c’è chi comincia a chiederlo alle grandi religioni.

La modernità si era aperta all’insegna di un fortissimo secolarismo antropocentrico, oggi ormai ereditato dalla tecnoscienza, mentre la postmodernità sta declinando all’insegna di un pensiero così debole da chiedere aiuto persino all’idea di “religione civile”. Non è questo, credo, il contributo migliore che la fede può offrire alla politica, anche se una piccola corte di “atei devoti” fa sempre comodo, soprattutto sul palcoscenico mediatico. Il laicismo più intollerante e anticlericale, che s’illude di azzerare ogni forma di etica pubblica, predicando la desertificazione dei simboli religiosi, diventa l’antitesi simmetrica di un clericalismo di ritorno, che vorrebbe usare quei simboli per corazzare un senso anemico di appartenenza, anche a costo di predicare una religione senza fede.

Pur combattendosi accanitamente, neutralizzazione e sacralizzazione della politica finiscono per condividere un presupposto non dichiarato: non esiste, propriamente, una comunità umana; esistono solo individui separati, che non riescono ad estrarre dalla convivenza uno straccio di bene comune. Chi non si arrende a questa verità, cerca disperatamente di correggere l’atomismo sociale con un vestito religioso; il punto di arrivo è diverso, ma il punto di partenza sembra essere lo stesso.

Ne deriva una conseguenza importante: un “partito trasversale” oggi domina gli scenari politici. La sua bandiera è molto semplice: diritti individuali senza doveri sociali, solventi senza collanti, autonomia senza responsabilità… Secondo Charles Taylor, stanno portando acqua a questo  mulino sia la destra che la sinistra, in una “inconsapevole congiura”: «I conservatori di destra (nel senso americano) parlano come difensori delle comunità tradizionali quando attaccano la libertà di aborto e la pornografia; ma in politica economica invocano una forma “selvaggia” d’iniziativa capitalistica che più di ogni altra cosa ha contribuito alla dissoluzione delle comunità storiche, che ha incoraggiato l’atomismo, che non conosce né frontiere né vincoli di fedeltà… Nell’altro campo, troviamo fautori di uno scrupoloso rispetto della natura, gente che si farebbe ammazzare per difendere l’habitat forestale, manifestare in favore della libertà di aborto, per la ragione che la donna è l’unica padrona del proprio corpo.

Sulla via dell’individualismo possessivo, alcuni avversari del capitalismo selvaggio si spingono più avanti dei suoi più disinvolti difensori». In questo scontro, «le fonti morali sono occultate e rese invisibili», poiché «le parti contrapposte… sono legate da un’inconsapevole congiura il cui effetto è di mantenere celato alla vista qualcosa di essenziale» (Ch. Taylor, Il disagio della modernità, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 111-113).

Dire che non esistono più “grandi narrazioni”, grandi sintesi, grandi progetti non basta a liberarci da qualcosa di autenticamente grande; serve soltanto a rendere grande qualcosa di molto piccolo. Il rifiuto di ogni progetto diventa alla fine l’unico progetto possibile: il mio io, i miei desideri, le mie voglie. Tutto e subito. L’individuo sa dire solo: “Io, adesso”; il cittadino, invece dice: “Noi, anche domani”. La politica trasforma l’individuo in cittadino, il narcisismo fa regredire il cittadino a individuo. Il “tramonto dell’uomo pubblico” dipende da un “narcisismo incivile” (R. Sennett).

In questo scenario il contributo della fede cristiana non può e non deve essere quello integralistico dell’egemonia e della rivalsa, ma nemmeno quello spiritualistico del disinteresse e della diaspora. La distinzione evangelica tra Dio e Cesare non è una figura retorica. Insegna non solo a riconoscere la “legittima autonomia delle realtà temporali”, ricordata nel post precedente, ma contiene anche un ammonimento severo contro ogni forma di sacralizzazione della politica. Può essere di Cesare la moneta (con quello che essa significa), ma non altro. Non si può consegnare a Cesare la propria coscienza né qualsiasi promessa di salvezza. La fede cristiana, se autentica, non consacra la politica, mentre la politica ha cercato da sempre di strumentalizzare la religione! Il Vangelo contiene un principio formidabile di desacralizzazione del potere, che offre anticorpi preziosi contro ogni assoluto terrestre.

Attenzione, però: desacralizzare non vuol dire neutralizzare! Nasce da qui un autentico principio di laicità: a differenza di altre religioni (Islam incluso), il “mondo di Cesare” rientra in un ordine creaturale, in cui la persona umana, in quanto capace di distinguere il bene dal male, può razionalmente responsabilizzarsi, a livello personale e sociale. Il cristiano non ha il “copyright” di quest’ordine, in favore del quale deve impegnarsi in un esercizio di discernimento insieme a tutti gli uomini di buona volontà.

Si potrebbe riassumere il senso di questo discorso attraverso due importanti corollari: anzitutto, al rifiuto di sacralizzare la politica corrisponde il rifiuto di sacralizzare anche l’uomo politico. In politica non esistono gli “uomini della provvidenza”, né c’è spazio per attese messianiche. Il Messia è uno soltanto. Questo comporta anche il rifiuto di qualsiasi professionismo della politica. La fiducia in un progetto ideale e la militanza in un partito possono essere la scelte di una vita, ma il servizio nelle istituzioni e nelle cariche elettive dev’essere un esercizio – vincolato e a termine – di democrazia rappresentativa. Oggi mi pare accada invece esattamente il contrario: si resta in parlamento a vita, si cambia partito a seconda delle convenienze! Nessun uomo politico può più dirsi cristiano se non è disposto, su questo punto, a prendere impegni coraggiosi e inequivocabili. A maggior ragione la cosa vale per gruppi e aggregazioni che agitano il vessillo dei valori cristiani. Questo è ancora il minimo, è vero. Ma nessuno può promettere il massimo se non è capace di rispettare nemmeno il minimo.

In secondo luogo, al rifiuto di neutralizzare la politica corrisponde l’invito a interrogarsi, riconoscere e proteggere i fondamentali dell’essere insieme attraverso scelte di campo coerenti e dichiarate. Nel servizio al bene comune la politica dev’essere imparziale, ma non può essere neutrale! La Costituzione non è certamente di parte quando pone una serie di valori alla base della convivenza. Illudersi di fronteggiare il multiculturalismo, facendo continui passi indietro e assistendo passivamente allo sbriciolarsi del pavimento etico comune non è governare la complessità, è semplicemente un suicidio collettivo: culturale, sociale e politico.

L’altezza inclusiva del “noi” si misura, per ogni comunità umana, dallo scarto tra “opzioni” e “legature”, tra lo spazio dell’autonomia individuale e il valore dei vincoli irrinunciabili, che non si è disposti a mettere ai voti. Ralf Dahrendorf ci ha insegnato che le “chances di vita” di una società dipendono dall’equilibrio ottimale fra questi due parametri; società troppo “legate” (come quelle antiche) mortificano la libera espansione del soggetto, mentre società troppo “slegate” (come quelle attuali) generano anomia, insicurezza sociale, frustrazione e perdita di progettualità.

Ecco una buona domanda dalla quale dipende il presente e il futuro di una buona politica: siamo ancora disposti a riconoscere un pacchetto di principi irrinunciabili, una specie di “capitale sociale vincolato” che precede e regola la competizione politica, rendendola possibile? Rispetto al pacchetto delle “legature” che hanno identificato la società italiana uscita dalla guerra c’è bisogno di qualche rettifica e aggiornamento, da ridiscutere alla luce del sole, evitando delegittimazioni oblique e striscianti?

*l’autore è stato presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana,
il contributo è tratto dal blog http://luigialici.blogspot.it/

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