Stefano Maria Paci, per www.ilsussidiario.net , commenta il viaggio a Cuba di Benedetto XVI
Strano destino, quello di Joseph Ratzinger, con addosso un pontificato che viene continuamente confrontato con quello del suo predecessore. Ma quel riconoscimento alla sua statura di Papa che in Italia non arriva, bloccato dagli Opinion Maker che non si accorgono che alle sue udienze e Angelus accorrono più persone di quelle che arrivavano per ascoltare Wojtyla, esplode nei viaggi all’estero. A Cuba, la tappa più delicata del suo viaggio in America Latina, vedo folle mobilitate in ogni tratto del suo percorso, c’è persino chi sale sugli alberi per vederlo passare, e se la cosa aveva già sorpreso nel cattolicissimo Messico (smentendo chi diceva che non avrebbe conquistato i cuori come Giovanni Paolo II), lascia stupiti nella comunista isola dei Castro.
E anche il rapporto con il regime castrista è improntato a una abilità diplomatica affinata negli ultimi anni, anche questa non abitualmente riconosciuta.
“Il comunismo è superato, occorre allargare gli orizzonti” ha detto il Papa ai giornalisti nell’aereo che lo portava a Cuba. Un segnale chiarissimo, ma non pronunciato sul suolo cubano, per evitare problemi. Atterrato all’aeroporto, dove i cannoni hanno sparato a salve, i bambini gli portavano fiori, le bandiere cubane venivano sventolate assieme a quelle vaticane, ha dimostrato cautela, ma i segnali sono stati altrettanto chiari. “E’ un momento importante per la Storia di Cuba” ha detto a Raul Castro, con riferimento velato alla difficile transizione con il fratello Fidel, “e Cuba deve ampliare i suoi orizzonti”. Poi un accenno, non sfuggito ai cubani, ai dissidenti fuggiti a Miami, dall’altra parte del mare, in cerca di libertà: “Saluti gli abitanti di questa isola – ha detto – e tutti i cubani, lì dove si trovano”.
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