Sarà forse a causa dei trascorsi liceali – come ben sa qualche vecchio amico – ma sono sempre molto affascinato dal rapporto fra la teologia e le scienze. Due ambiti su cui oggi l’ignoranza è diffusa. Per questo, ho trovato interessanti alcuni articoli recenti dedicati al riaccendersi della discussione sulla tracce matematiche dell’esistenza di Dio. Non ritengo certo possibile, né desiderabile, un teorema che snoccioli il Creatore come una formula. Su questo penso abbia ragione Antonio Ambrosetti (La matematica e l’esistenza di Dio, Lindau 2009), secondo cui non possono esserci prove matematiche né a favore né contro di Lui. La domanda perciò rimane: come mai la natura è ordinata e lo è in modo tale da poter essere spiegata dall’uomo con formule matematiche? Qui, come si può ben capire, si deve necessariamente abbandonare il campo scientifico.
Le risposte mi sembra si riducano a due. La prima è quella dei filosofi che mettono la maiuscola alla natura e la fanno coincidere con Dio. È una religione, quella della Ragione cosmica, che ha i suoi fedeli. La seconda è quella che Benedetto XVI ha avanzato in diversi discorsi (ad esempio, qui e qui). Circa la corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e quella oggettivata nella natura, “diventa inevitabile chiedersi se non debba esservi una unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra”.
Mentre mi lasciavo prendere da queste riflessioni, ecco passarmi davanti un’intervista a James Watson, scopritore nel 1953 insieme a Crick della struttura a doppia elica del dna. L’anziano biologo risponde su tutto: dalla filosofia alla politica e alla religione. Il suo è un perfetto agnosticismo. La frase che più mi colpisce, però, non riguarda le fedi ma la dignità dell’uomo. “Trovo ridicola l’idea stessa dei diritti umani”, afferma. “Da dove derivano, questi diritti, se non si crede all’esistenza di Dio? Cose come il cibo, la salute o l’istruzione sono bisogni e responsabilità, ma non diritti”.
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