Sarebbe stato possibile salvare le donne dagli stupri, a Pofi lo fecero, il racconto di Angelino Loffredi


A proposito della presentazione a Pofi del libro I pellerossa che liberarono l’Italia, di cui abbiamo scritto qui, Angelino Loffredi, che da tempo insieme alla moglie Lucia Fabi, ha approfondito quei terribili giorni della fine del maggio 1944, così ricostruisce quelle ore, in cui si distinsero i soldati canadesi che protessero la riva sinistra del fiume Sacco, sparando sulle truppe coloniali del Corpo di Spedizione Francese.

Antonio Ferraro, per 5 volte sindaco di Cassino e presidente della Provincia

Voglio contribuire a mantenere l’attenzione, scrive Loffredi, riportando una testimonianza di Antonio Ferraro che si trova nel libro” Il dolore della memoria”, scritto insieme a Lucia Fabi. Antonio Grazio Ferraro, successivamente diventato per 5 volte sindaco di Cassino e due volte presidente della provincia di Frosinone, nelle liste della Democrazia Cristiana, nei giorni del passaggio delle forze alleate si trovava sfollato presso il casello ferroviario 98, nelle vicinanze della stazione Castro-Pofi. “Conquistata Castro le truppe marocchine al seguito del CEF, appartenenti alla V Armata, esaurite le loro scorte, sconfinano dal loro settore”. Ricordiamo che le truppe del CEF si muovono lungo la destra del Sacco mentre quelle dell’VIII Armata britannica alla sinistra del fiume. “Guadano il fiume in un punto dove era possibile e penetrano nella nostra abitazione, oltre a commettere atti di violenza in tutta quella zona. Alla stazione di Castro-Pofi c’era qualche gendarme canadese ma non si accorsero di nulla. Nel casolare dove eravamo c’erano solo due donne, che non furono toccate perché affette da scabbia. Da qui i marocchini, con la minaccia delle armi, ci portarono in un altro luogo, una baracca lunga e bassa (o forse un “pagliaro”). Esercitarono davanti ai nostri occhi violenza su una adolescente. Arrivò però poco lontano una camionetta, i marocchini sentirono il rumore del motore e si allontanarono in fretta. Il mezzo militare apparteneva ai francesi e ai due ufficiali dalle fattezze europee che scesero le persone subito fecero presente quello che era successo, ma loro sapevano solo dire “Messieur c’est la guerre, c’est la guerre…”.

Lei cosa fece dopo questo drammatico episodio a cui assistette? “Andai a denunciare l’accaduto presso il comando canadese che si trovava nel centro di Pofi, non ricordo se collocato nella scuola o nel municipio. Ricordo bene una targhetta su una scrivania, capt. Scotti. Subito il capitano, di chiara origine italiana, si dimostrò disponibile ad accertare la vicenda e inviò due giovanissime guardie (del Provost Corps, nda). Egli ci mise in guardia sul fatto che i marocchini sarebbero potuti tornare il giorno dopo e decise di far posizionare dei suoi uomini con delle mitragliatrici sulla sponda del fiume, nascosti nella vegetazione. Il capitano era in prima linea con la pistola. Ero presente nel momento in cui questi uomini vennero schierati. A circa 150 metri da un ponte c’era un punto del fiume che poteva essere guadato agevolmente. Sono convinto che la portata del Sacco a quei tempi fosse differente. Il capitano Scotti era cosciente che, in caso di uno scontro armato, sarebbe potuta verificarsi una rappresaglia dall’altra parte del fiume o comunque uno scontro con i comandi francesi. Tutte le famiglie della zona della ferrovia furono evacuate e tra le prime ci furono la mia e quella del “casello 98”.

L’ipotetica situazione pericolosa sulla quale il cap. Scotti vi aveva messo in guardia si verificò? Sì. Il giorno dopo essi scesero di nuovo dalla montagna su cui è adagiata Castro. Il ponte della Madonna del Piano era danneggiato ma a fatica poteva essere attraversato, passando sui suoi ruderi. Essi comunque preferirono guadare il fiume. Mi impressionò questa massa urlante che come un’orda si preparava all’assalto, abbigliata ed equipaggiata in modo inconsueto. Mi ricordava molto le scene con gli indiani dei film western. Mi rimane impresso il particolare che tutti brandivano un’arma bianca dalla lama molto larga. Dovevano essere circa un migliaio. I canadesi mitragliarono prontamente i marocchini che avanzavano e alcuni di loro rimasero a terra. L’acqua del fiume Sacco si colorò di rosso e i corpi dei militari uccisi non furono mai recuperati ma abbandonati alla corrente che li trascinò via. Non credo che vi siano state rappresaglie sulla riva opposta”

Riteniamo che il drammatico episodio riportato sia accaduto dopo il 29 di maggio, giorno dell’ingresso canadese nel piccolo paese di Pofi. Le truppe ritenute marocchine invece potrebbero essere algerine, in quei giorni messe in riserva.

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