Di fronte ad efferati episodi di violenza, commessi in pubblico, dobbiamo ormai abituarci ad una terza categoria di comportamenti, rispetto alle due cui facciamo tradizionalmente riferimento. Ci sono quei pochi che provano a dividere i contendenti, anche a rischio della propria incolumità, ci sono quelli (molti) che volgono lo sguardo da un’altra parte o al massimo cercano di capire cosa succede e poi, ecco la novità sempre più diffusa, ci sono quelli che filmano… che rimangono con il loro telefonino a riprendere l’orrore, la violenza, la paura, come se stessero vedendo un film. E’ successo ad Alatri nell’uccisione di Emanuele Morganti, è accaduto a Colleferro con Willy Monteiro, è avvenuto a Civitanova Marche, nel bestiale delitto in cui ha perso la vita Alika. Ora, saranno i giudici a stabilire i livelli di colpevolezza delle persone implicate negli atti di violenza ma tutti noi dobbiamo chiederci se sia una cosa mentalmente sana mettersi lì a filmare un atto di violenza, invece che cercare di intervenire, magari avvicinarsi, urlare di smetterla, oppure mettersi insieme ad altri per fare qualcosa… ma filmare, per poi condividere sui social, è davvero da vigliacchi. La questione più importante, però, non è il giudizio morale su quanto è accaduto, quanto la scala dei valori su cui basiamo la nostra esistenza. E’ più importante cercare di salvare la vita di una persona o filmare quanto sta accadendo, per dimostrare di essere stati testimoni di un fatto eclatante? E noi, poi, come ci comporteremmo se ci trovassimo nella stessa condizione?

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