di Alessandro D’Avenia

Non dimenticherò questa frase di un’alunna che qualche anno fa si rammaricava del giorno di vacanza mancato, convinta che Pasqua cadesse in data fissa e non sempre e solo di domenica. Ignoranza «stellare», dovuta all’aver perso i segni del tempo cosmico di cui la Pasqua, credenti o meno che siamo, è un richiamo evidente, infatti la data cade nella domenica successiva alla prima luna piena dopo l’equinozio di primavera (21 marzo), quindi in un arco di tempo che può andare dal 22 marzo al 25 aprile.
Si incrociano calendario settimanale (la domenica è il giorno della resurrezione di Cristo e si chiama infatti così perché è «del Signore», dominicus in latino), calendario lunare (il mese dipende dai pleniluni, in continuità con il calendario lunisolare ebraico) e l’inizio della stagione della rinascita (l’equinozio, dal latino aequa nox, «notte uguale», è il momento dell’anno in cui i raggi del sole cadono perpendicolarmente sull’asse di rotazione della Terra così da avere 12 ore di luce e 12 di buio: avviene due volte l’anno, all’inizio dell’autunno quando il buio comincia a prevalere e all’inizio della primavera quando a farlo è la luce). Primo giorno della settimana, compimento del mese lunare ed equilibrio luce-buio nel moto della Terra attorno al Sole: la Pasqua ci collega quindi a corpi celesti i cui movimenti cosmici regolari scandiscono il tempo. Il mancato rapporto con questi corpi (de-siderio significa distanza dalla stella) ha conseguenze disastrose (dis-astro vuol dire invece stella avversa). Perché?
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