di Luigi Territo S.I.
Dilatare gli spazi costretti della nostre abitazioni è oggi più che mai un bisogno necessario. È veramente possibile? La lettura, l’arte, la meditazione, come ponti immaginari ci offrono la possibilità di scoprire inediti percorsi di vita.
Faigh Ahmed ci prova attraverso i suoi magic carpets. Un artista azero, noto al grande pubblico per le sue sperimentazioni sui tappeti tradizionali dell’Azerbaigian.
Simbolo della tradizione culturale e religiosa del suo paese, il tappeto rappresenta un codice culturale, il Dna di un popolo che resiste alla modernità, il simbolo di un’esperienza religiosa che affonda le sue radici nella tradizione mistica dell’islam.
Davanti alle sue opere lo spettatore assiste stupefatto a un’esplosione di tessuti progettati digitalmente.
Spezzando le rigide geometrie della tradizione, il tappeto invade lo spazio profano, lo trasforma. È la preghiera di un sufi, essa emerge all’interno di una tradizione prescritta, laddove trama e ordito s’intrecciano con precisione e devota obbedienza.
Una pratica che non ingabbia il cuore dell’uomo, ma che lo libera. Qui la rigidità dell’ordito si dissolve nella libertà dell’orante, il recinto è spezzato, i nodi si dissolvono, quei fili geometricamente intessuti si riannodano secondo geometrie liquide, il tessitore ha definitivamente perso il controllo, ora compone la sua trama secondo segrete composizioni.
Quando il soggetto dell’esperienza religiosa non è più l’uomo, ma Dio, l’osservanza lascia il timone delle scrupolo, e la barca può solcare i mari aperti dell’incontro, quello vero. L’esperienza mistica è così descritta: finalmente l’uomo può consegnare il suo telaio, o meglio la tragica illusione di essere il tessitore della propria vita. Allora è ancora tempo di volare, pur restando chiusi nelle nostre case. È tempo di viaggiare; non servono scarponi o attrezzature particolari, serve l’umiltà del cercatore, la sete del viandante, la perseveranza del pellegrino. Buon viaggio a tutti!

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