di Alessandro D’Avenia
«Un ragazzaccio / scappò in Scozia / e scoprì che la terra era altrettanto dura / una iarda altrettanto lunga / una ciliegia altrettanto rossa / una porta altrettanto legnosa / una canzone altrettanto gioiosa che in Inghilterra… Così si fermò / nelle sue scarpe / e si meravigliò / si meravigliò / si fermò nelle sue / scarpe e si meravigliò». Sono i versi di una filastrocca che John Keats, uno dei più grandi poeti inglesi, scrive in una lettera per raccontare alla sorella del suo viaggio a piedi in Scozia, dove era andato a caccia di sole e ispirazione. Camminando insieme a un amico tra altopiani e laghi scozzesi, nel giugno del 1818, Keats scopre che tutto è bello… proprio come nella sua terra d’origine: in quei luoghi il poeta ritrova lo stupore grazie allo sguardo attento e paziente sulle cose, nella loro costante e onnipresente bellezza, ovunque ci si trovi. Meravigliarsi «stando fermi nelle nostre scarpe» è infatti ciò di cui tutti abbiamo bisogno quotidianamente, perché se non troviamo bellezza almeno una volta al giorno perdiamo la capacità di abitare il mondo e amare la vita. La vera bellezza fa sentire a casa, anche quando ci mostra stanze oscure o chiuse. Come fa? Da un lato con la gratuità: ci regala la chiave della stanza senza che l’abbiamo cercata o meritata; dall’altro con l’armonia e la luce: ci assicura che ogni stanza è casa nostra, anche la più buia. Chi si abitua al brutto, senza accorgersene si chiude in cantina e perde la capacità di considerare il mondo una casa e gli altri gli invitati nella stessa dimora per una festa misteriosa. Abitare, forma frequentativa del latino habeo, «avere», significa infatti: continuare ad avere. La bellezza fa abitare perché fa possedere sempre ciò che ci dona, al contrario del brutto che disabita le cose: ce le sottrae, ci svuota e ci rinchiude.
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