di Sergio Di Benedetto

Giotto, Il bacio di Giuda (dettaglio), Cappella degli Scrovegni, Padova
Per questa Quaresima ho pensato di non scrivere un commento attraverso la letteratura al Vangelo della domenica, come in Avvento, ma osare un altro percorso: riflettere su un personaggio di Quaresima, unirlo a un atteggiamento del cuore e affiancargli poi un semplice testo o un libro, cercando di evitare la traccia della scontato.
Partiamo da Giuda: il traditore, colui che fu destinatario di parole durissime da parte di Gesù: «Guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Bene per quell’uomo se non fosse mai nato!» (Mc 14, 17). L’evangelista Giovanni lo definisce «ladro» perché rubava dalla cassa dei discepoli (Gv 12,6). Tralasciando la teologia e l’omiletica (ma come dimenticare Nostro fratello Giuda di Primo Mazzolari?), sappiamo che Giuda ha affascinato da sempre la letteratura, da Dante che lo colloca nel fondo dell’abisso infernale (Inferno XXXIV) a Borges (Tre versioni di Giuda), da Eric-Emmanuel Schmitt (la prima parte de Il Vangelo secondo Pilato) e Lanza del Vasto (Giuda) al meno noto Daniel Llitteras (Judas). Parlarne è arduo, ma voglio avventurarmi. Giuda è un personaggio tremendamente moderno, perché mi richiama “l’assenza di Dio”, intesa in due modi
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