Monsignor Galantino ha ragione. “Un puzzle di ambizioni personali all’interno di un piccolo harem di cooptati e di furbi “. Non avrei trovato definizione migliore. Nessuno escluso.
La politica vista da dentro, vissuta nei corridoi e nelle stanze fumose alle quali non hanno accesso nemmeno i più vispi sguardi e le orecchie più attente del giornalismo nostrano, è uno spettacolo deprimente, un esercizio di cinismo e ambizioni personali che nulla hanno a che vedere con l’ispirazione e la speranza per la quale molti di noi si sono avvicinati all’impegno civile e politico.
Non si prova solo nostalgia per De Gasperi, (come per Dossetti, La Pira, Zaccagnini e tanti altri), per il loro pensiero e per i maestri che lo hanno ispirato, ma si prova inquietudine e profonda solitudine in un ambiente dominato da metodi spietati di prevaricazione sull’altro e da un certo pragmatismo avaloriale che nel migliore dei casi induce al disincanto se non all’adattamento. Qui il cristiano – ma qualunque altro cercatore di Dio – impegnato in politica non può che sentirsi straniero, come nella lettera a Diogneto.
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