È una pratica cristiana che ha radici lontane e ha attraversato i secoli. Affacciatasi alle soglie dell’età moderna come una particolare forma di ‘pellegrinaggio disciplinato’, si è modulata sul binario di una ‘regolata devozione’ e, appena scalfita dai processi di secolarizzazione, conserva la sua fortuna sotto diverse declinazioni.
È l’appuntamento consueto del venerdì di Quaresima in parrocchia, e quello di celebrazioni spettacolari, tra sacro e profano diffuse ovunque: è la via Crucis. Sì, è vero, non sono poi molti i cosiddetti ‘pii esercizi ‘ sopravvissuti nel tempo che, come in questo caso, costituiscono quasi un banco di prova della complessità che invade le dinamiche relazionali fra Chiesa e modernità. Tra questi la Via Crucis ha un posto speciale: soprattutto per i rimandi al racconto della Passione e all’identificazione con l’’Uomo dei dolori’, con la figura di Cristo. Ma quando è iniziata la sua storia? Qual è stato nelle differenti epoche il suo significato per la vita dei credenti? E oggi, lasciatici alle spalle – per fortuna – il senso tragico del sentimento religioso, come interpretare questo rito antico e contemporaneo alla luce dell’invito evangelico «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua»?
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