«Nel vivaio delle comete»: questi due versi di Paul Celan («in die Kometen- / Schonung» da Zeitgehöft, Dimora del tempo, 1976) bene introducono al percorso che si vuol qui proporre, per qualche mese, ai lettori. Ora che il XXI secolo è ben avanti nella sua incertezza, nella sua difficoltà a creare avvenire, più urgente diviene interrogarci su quale sia il lascito più duraturo delle civiltà dell’Occidente. Si percorreranno, dai Greci e dai Latini a noi, le opere di scrittori che hanno parlato del loro tempo e al nostro; non sempre “classici”, ma piuttosto “patriarchi”, come li intese il Leopardi nel suo Inno e non meno Paul Celan nel replicare al sogno di Hölderlin («enigma è ciò che scaturisce puro») e a ogni sete di ritorno all’origine: «Venisse, / venisse un uomo, venisse al mondo un uomo, oggi, / con la barba di luce che fu / dei patriarchi: potrebbe, / se parlasse di questo / tempo, solamente / bal- balbettare / conti-, conti-, / nuamente, mente« (Tubinga, gennaio, da La rosa di nessuno).
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