di Paola Springhetti | 06 novembre 2014
Il problema non è se la Chiesa debba essere o no presente nella vita sociale. Il problema è se queste strade sono quelle del potere o quelle dei poveri
Ha ragione Giorgio Bernardelli a scrivere che Papa Francesco sta dettando un programma di azione sociale, che ci costringe a fare i conti con la dottrina sociale della Chiesa, troppo frettolosamente dimenticata degli ultimi anni, nel nome di una presenza forte della Chiesa stessa nella politica. Politica in senso stretto, quella dei partiti. Mi fa sorridere quando vedo qualcuno che dà del “comunista”, al Papa. È un’idea talmente paradossale che finisce col rivalutare il comunismo. E comunque rivaluta tutti coloro che, negli ultimi decenni, hanno difeso i poveri, lottato per la giustizia sociale, chiesto che venisse riconosciuta la dignità della persona, di tutte le persone. Ogni tanto qualcuno dà del comunista a don Giovanni Lamanna, che da pochissimo ha lasciato la presidenza del centro Astalli a Roma; è stato definito comunista don Ciotti negli anni novanta; don Luigi di Liegro negli anni ottanta; e via via risalendo fino a don Milani. Per citare solo i preti e mettendo tra parentesi i laici. Comunisti perché hanno ricordato i diritti dei profughi, combattuto la mafia, accolto i malati di Aids, chiesto l’istruzione per tutti.
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