Uno dei doni più importanti che la Bibbia può farci ancora oggi è quello di riconsegnarci i tratti di una singolare relazione tra Dio e l’uomo che ha segnato una svolta decisiva nell’esperienza religiosa dell’umanità e nella comprensione del mistero stesso dell’uomo. E’ in sintesi quanto il vescovo diocesano monsignor Ambrogio Spreafico ha illustrato nel suo intervento tenuto mercoledì scorso all’Auditorium diocesano di san Paolo ai Cavoni per il terzo incontro del ciclo “In dialogo con la città sulla Parola di Dio”, promosso dall’Ufficio scuola della diocesi, diretto dal professor Gianni Guglielmi. Dopo aver toccato lo scorso anno il tema del rapporto tra l’uomo e il creato e quello dell’uomo con gli altri, Spreafico ha proseguito il viaggio nella visione antropologica della Scrittura soffermandosi questa volta sul rapporto tra l’uomo e Dio. Un rapporto caratterizzato da subito non dall’esperienza del potere e della forza politica e culturale, ma dall’umiltà e la fiducia, dal momento che «Israele è il più piccolo di tutti i popoli». Sorprendentemente, ha sottolineato il vescovo, «quell’uomo biblico ha lasciato nella storia un’incredibile eredità, facendo toccare con mano cosa significhi che una periferia diventi centro». Soprattutto, ha rimarcato monsignor Spreafico, siamo chiamati ad imparare dall’esperienza di fede di Israele la necessità dell’ascolto, una dimensione oggi spesso assente dalla vita delle persone e delle comunità. Non solo: un ulteriore dono che la Bibbia fa all’uomo è quello di presentargli «il volto di un Dio che sempre ha voluto essere in relazione con la sua creatura», ricordando in tal modo che la comunione è il vero antidoto all’individualismo. A tale proposito il vescovo ha affermato la necessità anche oggi di vivere l’esperienza di fede come «storia alternativa a quella mondana e contestazione di uno stile di vita che esalta l’interesse dell’individuo». Proseguendo a tratteggiare l’autentico modo dell’uomo biblico di stare davanti a Dio, Spreafico ha ricordato altri due aspetti: la coscienza del peccato, attraverso la quale si scopre «la perdurante condizione di debito nei confronti di Dio e ci si impegna a restituirgli la vita» e la forza della preghiera, «esperienza che fa trovare quell’unità che la persona spesso non ha nella vita, difendendo inoltre il credente dall’invadenza dell’attivismo e aprendolo alla riconciliazione con il prossimo».
Sulle svariate implicazioni di una tale visione della vita nella cultura di oggi il vescovo ha al termine intavolato un dialogo con i presenti.
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