di Alessandro D’Avenia
Per cambiare un Paese attraverso il suo sistema educativo occorrono due generazioni. La storia lo insegna: basti ricordare il cambiamento del Giappone a metà dell’800 quando l’Imperatore decise di mandare i suoi a studiare in occidente, o della Corea del Sud a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. Immaginiamoci allora il futuro, alla luce degli incoraggianti discorsi della politica incentrati, nelle ultime ore, sulla scuola: Renzi ha una moglie insegnante e non tutti i conflitti di interesse vengono per nuocere, la neo-ministra accennava alla necessità di porre gli strumenti per l’autonomia delle scuole nell’assumere con conseguente valutazione delle stesse. Sono parole nuove, non per quello che promettono (è ritornello da canzone sentita), ma perché mettono a fuoco in modo diverso il rapporto tra l’istruzione e il futuro del nostro Paese. L’unica moneta che pensiamo possa garantire il nostro futuro è quella economica e per questo le soluzioni sono state in questi ultimi mesi di carattere tecnico, ci terrorizzava più lo spread della mancanza di investimenti nella scuola, percepita spesso dalla politica come fastidio necessario.
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