di Alessandro D’Avenia
Sono andato a trovare Rodin. Se ne stava a Palazzo Reale con un po’ di opere, raccolte in file parallele su tavolacci di legno, in una di queste esposizioni minimal che bisogna dire che sono cool perché sennò non sei cool. A me sembrava solo cheap (fine dell’inglese), machissene. Io ero lì per Rodin.
L’ho guardato e l’ho guardato bene, Rodin. Alle mostre mi sembra di diventare bambino, quando si stava ore a fissare qualcosa. Non bambino grande, ma neonato. Mamma dice che guardavo le foglie degli alberi per ore (in realtà venivo abbandonato sotto un albero per ore, ma mamma questo non può dirlo…).
Alle mostre mi sento uno che impara a guardare, mi rifaccio gli occhi, presto attenzione. E noi vediamo veramente solo ciò a cui accordiamo attenzione. Sarà per questo che ci scontriamo spesso con altri per strada mentre guardiamo il nostro aifon? Noi diventiamo quello che guardiamo: i(un io)-phone(telefonante), appunto. Diventiamo telefoni ambulanti, terminali della rete che fa di noi un suo nodo, o un suo nodulo, in base al grado di dipendenza. Gli altri che ci sbattano contro.
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