di Christiane Florin
Fra le numerose relazioni del congresso dei teologi europei tenutosi qualche settimana fa a Bressanone, colpiva fin dal titolo (“Il dominio del Non: perché il linguaggio della Chiesa è così negativo”) quella della giornalista e teologa tedesca Christiane Florin. Il lungo testo è un’analisi severa della comunicazione ecclesiale, con accenti in parte già risuonati in vinonuovo, in parte fin troppo impietosi.
Il Katholikentag del 2012 aveva come motto: “Osare una nuova partenza”. Il prossimo a Ratisbona si intitolerà: “Costruire ponti sul futuro”.
Avrei anche potuto pubblicare il mio articolo con il titolo: “Trovare un linguaggio nuovo”. Ho trovato molti titoli di questo genere, mentre mi preparavo per questa conferenza. Uno particolarmente artistico diceva: “Non produrre nuove divisioni, ma realizzare l’unità nel quotidiano”.
“Sperare nell’oggi, essere radicati nell’ieri, amare il domani”: è evidente che gli slogan della chiesa credono fermamente nella forza del modo infinito. L’imperativo dei tempi andati non attira più, ora deve farsi avanti l’infinito.
Se poi inframmezzate con “alla luce del Vangelo” e “alla sequela di Gesù Cristo”, oppure mettete una o due volte “condivisione”, otterrete i più importanti fac-simile per massime ecclesiali e formule di saluto a metà strada tra il moderatamente riformistico e il moderatamente conservatore. Ah già, stavo per dimenticare il “Dio vivente”. Questa stoccata a Nietzsche non può mai mancare. Dunque: “Alla luce del Vangelo, realizzare l’unità nella condivisione del quotidiano”. Oppure: “Alla sequela di Gesù Cristo, nell’oggi costruire ponti protesi verso il Dio vivente”. In questo modo si possono mettere d’accordo interi consigli pastorali parrocchiali, e il parroco saluterà positivamente la cosa. E’ l’opposto del linguaggio escludente, carico di risentimento, dei trionfatori apparenti.
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