E’ il parere di Antonio Olmetti che coglie l’occasione del dibattito interno al Pd per riflettere sulle opportunità offerte dalla politica.
Scrive: si assiste a Ceccano a qualcosa di simile a quello che accade a livello nazionale: un intesa di governo del paese, con i partiti di colei che si era avversata in campagna elettorale perfino dimentichi delle promesse fatte agli elettori di rinnovamento della classe di governo del paese; tutto questo in un paese smemorato, ipnotizzato, incapace di ritrovare il bandolo della matassa come appunto sta accadendo a livello nazionale.
Di certo è il Sindaco di Firenze Matteo Renzi il leader che ha più consenso popolare in Italia e sarebbe cosa naturale che corresse per la carica di Segretario del Pd con primarie aperte a tutti così com’è accaduto per i predecessori. Ma la più che probabile vittoria di Renzi da fastidio alla vecchia nomenclatura del partito che perciò tende ad ostacolarla con una frenetica ricerca di nuove regole come ad esempio quella che siano solo gli iscritti a votare per il segretario scordando quello che da sempre gli stessi oligarchi, avevano teorizzato e cioè di quanto le primarie aperte a tutti siano splendide ed irrinunciabili. Tutto ciò con il rischio di spaccare il partito ( vedi le reazioni dei Renziani, di Pippo Civati e altri ) e peraltro non tenendo conto di un dettaglio e cioè la possibile reazione di otto milioni di elettori democratici che hanno dovuto sopportare nell’ordine:
- · una campagna elettorale disastrosa;
- · il tradimento nei confronti del padre fondatore Prodi;
- · un governo con Berlusconi escluso fino a poco prima;
- · la conferma di un ministro dell’Interno ritenuto incapace;
- · il pressappochismo nel trattare la vicenda dell’ineleggibilità di Berlusconi;
- · l’assoluta mancanza d’idee e d’impegno sulle questioni riguardanti il lavoro escluse dalle priorità di governo per favorire l’abrogazione dell’IMU richiesta dall’alleato di governo di destra e finalizzata nel togliere ai poveri per dare ai ricchi.
Se esiste un istinto di sopravvivenza nel Pd, quell’istinto dice che il prossimo congresso non può essere la solita adunanza degli addetti. Deve essere, anzi non può che essere, una irrinunciabile resa dei conti tra una classe dirigente sconfitta e il suo popolo che reclama una nuova rappresentanza. Una istituzione chiusa se integra appare minacciosa (vedi il partito comunista), non lo è se è in pezzi, come l’attuale Pd: in questo caso la sola manifestazione di forza della classe dirigente e del suo popolo è quella di chiedere democraticamente aiuto al più forte e cioè al Sindaco Matteo Renzi.
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