Quando si vede Papa Francesco all’udienza del mercoledì lasciarsi volentieri inghiottire dai gorghi di folla, sembra che non abbia niente di meglio da fare. Incontrare, benedire, abbracciare, mostrare vicinanza… E’ un tratto che si accompagna a una predicazione profonda e semplice, immediata, efficace. Questo stile, questo esempio che cosa dicono ai vescovi italiani? E come è stato colto e accoltoil discorso che lo scorso 23 maggio Francesco ha voluto tenere all’assemblea della CEI ricevuta in San Pietro?
Ho cercato di rispondere a queste domande in un articolo che viene pubblicato oggi su La Stampa e che potete leggere integralmente qui su Vatican Insider. A me sembra che dalle parole del Papa emerga una novità, un cambio di passo, di prospettiva. Che dovrebbe far interrogare anche la Chiesa italiana e i suoi pastori. Questo tema non è stato affrontato durante l’ultima assemblea della CEI e ho talvolta l’impressione che invece di chiedersi che cosa significhi il nuovo pontificato si cerchi soltanto di trovarvi conferma della linea sin qui seguita.
A mio parere la meditazione di Francesco ai vescovi è stata dirompente, tanto quanto il suo esempio (quello di un vescovo che confessa, dà la prima comunione ai bambini, fa catechismo), ma rischia di essere anestetizzata. Ciò che ha fatto notizia, infatti, è stata una frase con la quale il Papa ha ribadito che il dialogo con le istituzioni politiche spetta alla CEI, subito presentata come una vittoria di Bagnasco su Bertone: quest’ultimo infatti nel 2007 aveva scritto al neo-presidente dei vescovi una lettera con la quale intendeva riportare sotto l’egida della Segreteria di Stato la gestione dei rapporti con la politica.
In realtà quel progetto di Bertone, espresso nella lettera, non si è mai veramente realizzato. Ma la “rivincita” del vertice CEI sul Segretario di Stato ha finito per far passare in secondo piano le parole fortissime che il Papa stesso aveva preparato per i vescovi italiani.
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