di Luigi Accattoli per Il Corriere della Sera
ROMA – “Lei mi deve curare e io devo guarire perché non c’è posto nella Chiesa per un Papa emerito”: parlò così Giovanni Paolo II nell’aprile del 1994 al chirurgo Gianfranco Fineschi che l’operò all’anca. Con una battuta quel Papa pragmatico aveva efficacemente riassunto l’intera dottrina dei canonisti sulle dimissioni del “vescovo di Roma”: a fare problema non sono queste – previste da sempre nelle leggi della Chiesa – ma la loro proiezione sul successore e sui successori.
Gli addetti ai lavori conoscono le conclusioni dell’istruttoria in materia che Paolo VI affidò a tre canonisti per averne un parere quando arrivò nella primavera del 1976 – vivrà fino all’agosto del 1978 – a porsi il problema delle dimissioni a motivo dell’artrosi che l’immobilizzava. Ne abbiamo notizia sommaria dai volumi su di lui scritti dal padre Carlo Cremona e dal vescovo Pasquale Macchi che gli furono vicini: il secondo fu suo segretario personale.
Raccontava il padre Cremona che Papa Montini era restato scosso quando si era sentito dire dai medici che a motivo della sua artrosi “non poteva” andare al Congresso Eucaristico Internazionale di Filadelfia dell’agosto del 1976, al quale era stato invitato. Disse ai collaboratori: “Se non posso andare a un Congresso Eucaristico allora vuol dire che non posso fare il Papa”. E chiese quell’indagine sulla “rinuncia”.
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