di LUIGI BALLERINI
La chiamano sindrome da rientro e c’è chi fideisticamente la ritiene inevitabile, un male necessario che arriva ai primi di settembre, in anticipo sull’influenza stagionale. Quando vediamo l’immancabile servizio ‘stagionale’ al tiggì annuiamo, ugualmente prede di un male comune. Potremmo definire così quel particolare malessere che ci coglie al rientro, e forse persino negli ultimi giorni di vacanza, quando anche il solo pensiero di tornare alle attività di sempre ci strizza un po’ lo stomaco. E rende pesante il respiro. Fa male, lo sappiamo, ma c’è di buono che di solito dura poco; giusto il tempo di imparare di nuovo a vivere in apnea, con gli impegni a dettare i nostri ritmi e la sensazione di essere trascinati da un fiume in piena dove non serve neanche più nuotare, perché tanto è la corrente che fa tutto. Eppure, anche in questo periodo in cui sandali e bermuda lasciano il posto agli abiti della cosiddetta civiltà, i bambini tornano nuovamente in nostro aiuto. Sì, è vero, anche loro erano contenti di stare al mare a costruire i castelli di sabbia (quelli veri!) o in montagna a scorrazzare nei prati e rincorrere le mucche prima di essere a loro volta inseguiti, ma volete mettere il loro sguardo quando li aiutiamo a prepararsi per l’inizio della scuola, magari per il loro primo inizio? Per loro tutto sa di promessa e vive di un’attesa emozionante, ma lieta e carica di aspettative buone. È incredibile come dopo tanti anni anche per noi – uomini e donne maturi, che sanno come va la vita – settembre coincida ancora con l’odore di una gomma nuova e pulita, col fruscio di uno zainetto troppo grande sulle spalle, anche con la rabbia per le copertine dei libri che si attaccavano sempre storte. Siccome, però, non si vive di ricordi, ma solo di memoria, non dobbiamo compiere l’errore di ridurre questo pensiero a una pura notazione nostalgica.
Dobbiamo farne tesoro per trarne vantaggio, ora. I bambini, almeno finché stanno bene, non soffrono della sindrome da rientro semplicemente perché per loro la vita è una e sempre giocata nell’istante; perché si attendono il bene dal reale e se non arriva non demordono, lo cercano altrove e si ingegnano a scovare nuovi compagni con cui star bene. Perché, in fondo, loro non rientrano mai; non escono, sono sempre dentro le cose. I bambini veri non amano andare nel Paese dei balocchi, non ci pensano nemmeno, e comunque si stuferebbero a morte dopo averci fatto anche solo due passi. Siamo noi, piuttosto, che qualche settimana fa quando abbiamo fatto le valigie per le nostre vacanze abbiamo forse sperato di poterci andare, in quel luogo fantasticato, certo non fantastico, senza costrizioni e obblighi. Il nostro errore è stato proprio scambiare per costrizioni gli impegni e per
obblighi gli appuntamenti.
Auguriamoci allora di saper tornare come bambini, di sperare certi che mettere di nuovo piede nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro sia realmente un’opportunità. Abbiamo anche noi compagni da ritrovare scegliendo fra loro quelli che ci fanno bene, maestri da cui imparare ancora, compiti da svolgere perché le cose procedano, progetti da realizzare per il bene nostro e comune. E vorremmo scambiare tutto questo con una nuvola di zucchero filato o un’interminabile giostra colorata? Io intanto mi sono comprato una gomma nuova e tutta bianca, poi l’ho messa sulla mia scrivania. Confido mi aiuti a fare memoria, oltre i ricordi.
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