Il primo contatto lo ebbi, fugace, alla Gregoriana. Ero appena arrivato a studiare nella grande istituzione universitaria dei gesuiti in Piazza della Pilotta, tra Piazza Venezia e Fontana di Trevi, quando Giovanni Paolo II nominò il rettore di quella Università, il p. Carlo Maria Martini, arcivescovo a Milano, la più grande delle diocesi del mondo.
Fu mio padre a dirmelo al ritorno dalle lezioni da Roma, ne ricordo esattamente il momento: per me, già in quel momento, Martini era uno degli intellettuali più completi ed interessanti del XX secolo, oltre ad essere un grande studioso della Bibbia e del genere umano. Grazie all’Azione Cattolica, ebbi più volte la possibilità di incontrarlo e di ascoltarlo direttamente, ma furono le sue lettere pastorali alla Diocesi che gli era stata affidata a farmi comprendere la grandezza dell’uomo.
Cito soltanto un esempio: fra le sue prime lettere pastorali c’è quella intitolata Da Nazareth a Cafarnao: E’ un’idea semplice, ma assolutamente travolgente sulla modalità seguita da Gesù per annunciare il vangelo. Se ne sarebbe potuto stare tranquillamente a Nazareth, fare qualche miracolo. Folle immense sarebbero salite nello sconosciuto villaggio della Galilea. Quante storie simili ci sono state nel corso dei secoli. E lui invece no, se ne va a Cafarnao, nella città sul lago di Gennesaret, a scovare, a chiamare quelli che, pieni di cose da fare, non spinti dea esigenze di salute, mai sarebbero saliti a Nazareth: Matteo, Zaccheo, i pubblicani maledetti e disonesti ma desiderosi del perdono di Dio. Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, troppo presi dai loro affari per salire a Nazaret. Ma lui non li molla, li va a cercare. Senso pieno dell’evangelizzazione.
Ecco la grande capacità di Martini, focalizzare l’attenzione su un’immagine biblica e trasformarla in un criterio di orientamento per la vita dei Cristiani.
Grazie, Signore, di averci donato Carlo Maria Martini.
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