
Per celebrare la Festa della Liberazione, proponiamo un contributo di Pio Domenico Spinelli sulla ripresa della vita quotidiana a Ceccano nel primo anni dopo la guerra. I suoi ricordi riguardano, questa volta, il mondo della scuola
PASSATA LA GUERRA, TORNA LA VITA TRA I BANCHI.
di Pio Domenico Spinelli
La guerra del 1944 era appena passata dalle nostre parti e si stentava a riprendere il normale
ritmo della vita, malgrado si respirasse in giro una forte volonta’ di rinascita, dopo tante
sofferenze e dolori.
I bombardamenti abbattutisi sul centro storico di Ceccano e nella immediata periferia avevano
causato una grande devastazione, sia nelle condizioni economiche che nel morale della gente.
Le nostre campagne non erano ancora fornite dalla corrente elettrica ( la sera si illuminavano le
case con lucerne ad olio), l’acqua per uso domestico veniva attinta dalle nostre mamme, con il
classico “cuncone”, direttamente dalle sorgenti spontanee, allora sparse un po’ ovunque nel
nostro territorio (oggi completamente sparite !).
La maggior parte delle abitazioni non era fornita di servizi igienici, perche’ sprovviste di acqua
corrente.
Per le necessita’ fisiologiche si “scendeva in campo”, oppure si andava alla “stalla” degli animali.
Lungo il tragitto da casa a scuola, richiamati anche dal rumore che faceva la penna e la matita
nella cartella di cartone, appesa alle spalle a “ mo’ di zainetto”, si accodavano via via, tanti
nostri compagni che, inzuppati come veri e propri “calimeri” per il fango e le pozzanghere,
raggiungevamo finalmente il “Casino di Pizzafredda”, dove era stata sistemata l’aula scolastica,
quasi al confine di Arnara.
Calzavamo ai piedi zoccoli di legno, costruiti a mano davanti al focolare dai nostri nonni,
durante le lunghe serate invernali.
Questo era in generale l’ambiente in cui riprese la vita scolastica per i ragazzi di allora.
Le scuole iniziavano il 01 ottobre e, specialmente quelle di periferia, venivano sistemate alla
meno peggio in locali occasionali e fatiscenti, che certamente non stimolavano lo scolaro allo
studio.
I ragazzi, prima di andare a scuola, collaboravano nella conduzione della vita familiare e, in
particolare, quelli di campagna, nei mesi di novembre e dicembre, dovevano alzarsi al “canto del
gallo”, senza fare tante “rustunnenze”, per andare a raccogliere le ghiande per i maiali, prima
che le raccogliessero gli altri.
Era, questa, una vera e propria lotta contro il tempo che ingaggiavamo con tutti i ragazzi della
zona, che conoscevano molto bene le querce che producevano ghiande in grande quantita’.
Nei mesi invernali gli scolari andavano a scuola portando un pezzo di legna sotto l’ascella, da
mettere nella stufa in terracotta per il riscaldamento dell’aula, ed uno “scaldino” (un barattolo
di pomodoro con il fondo forato), che facevamo continuamente roteare, per mantenerlo
sempre acceso e potersi riscaldare le mani, durante il tragitto .
Non esistevano a quei tempi i bidelli di oggi e, alla pulizia dell’aula e all’accensione della stufa,
dovevamo provvedere direttamente noi alunni.
Gli scolari, tutti con lo “zinalone” di colore nero e con un bel nastro azzurro legato al collo,
avevano in dotazione una cartella di cartone nella quale si sistemavano : il sillabario, l’astuccio
con la penna e il pennino (che si intingeva nel calamaio infisso nel banco), un quaderno a righe
ed uno a quadretti, ricoperti da copertine nere, una matita, per appuntire la quale, si usava
quasi sempre un coltellino, e una gomma.
Chi possedeva il compasso e i pastelli destava l’invidia dei compagni.
L’inchiostro per fare i compiti a casa, lo ricavavamo direttamente dai “ciciaregli” (bacche di
colore nero della pianta di sambuco), fatti cuocere con un po’ d’acqua in un tegamino a fuoco
lento.
All’inizio dell’anno scolastico, l’insegnante quasi sempre sollecitava gli alunni a portare
l’indomani a scuola una “bacchetta”, cosa che avveniva regolarmente in competizione fra di
loro.
Sceglieva quella piu’ “bella” che, per ironia della sorte, capitava che venisse usata la prima volta
proprio contro colui che l’aveva portata, il quale naturalmente rimaneva molto deluso.
Il maestro ci accoglieva tutte le mattine sull’uscio dell’aula scolastica, con l’immancabile
bacchetta appoggiata sulla spalla, controllava uno per uno, la pulizia delle mani, del viso e delle
orecchie, non lesinando di dare qualche bacchettata in testa a coloro che avevano avuto uno
scarso igiene del proprio corpo.
Appena entrati in classe, in piedi tra i banchi, ci faceva fare il Segno della Croce e recitare tutti
assieme l’Ave Maria ed il Padre Nostro.
Le punizioni erano corporali e normalmente venivano inflitte con un certo numero di
bacchettate sul palmo delle mani .
Quando, poi, la punizione doveva essere particolarmente severa, il malcapitato veniva fatto
inginocchiare dietro la lavagna, su chicchi di granturco o sassolini.
La mortificazione e l’avvilimento erano tali che spesso la punizione aveva l’effetto contrario;
invece di redimere il reprobo, finiva per rafforzarlo nella disubbidienza. ( la punizione, infatti,
era quasi sempre sproporzionata alla manchevolezza commessa, mentre oggi, forse, si tende
ad esagerare in senso contrario ! ).
Il comportamento degli insegnanti era ampiamente approvato dai genitori, sia perche’ molto
spesso condividevano tali metodi di educazione, sia per evitare possibili ritorsioni nei confronti
dei loro figli.
Come resta facile immaginare la preparazione lasciava molto a desiderare, con bambini di
appena 6 anni, costretti a condividere la giornata, in pluriclassi miste dalla 1^ alla V^
elementare , assieme a compagni di scuola molto piu’ grandi, che avevano ripreso a
frequentare le elementari dopo l’interruzione forzata a causa della guerra.
Non erano rare le volte che rubavamo nei nostri pollai uova fresca di giornata che portavamo al
maestro , per ingraziarci la sua benevolenza ed evitare qualche bacchettata di troppo.
La dispersione scolastica a quei tempi era molto alta, in quanto per opinione piuttosto molto
diffusa la scuola veniva considerata “una inutile perdita di tempo” e, pertanto, molti
preferivano fermarsi alla 3^ elementare , (appena si era n grado di fare un po’ di conto ed
apporre la propria firma), per essere subito di aiuto ai loro genitori nel lavoro dei campi,
oppure andando “a bottega” presso i tanti artigiani del centro storico , allora molto numerosi.
“Questa e’ la storia di uno di noi ……”, cantava Celentano nella sua celebre canzone “ Il ragazzo
della via Gluck” , con la speranza che i nostri figli e nipoti trovino il tempo per leggere queste
brevi riflessioni di vita vissuta, simile a quella di tanti miei coetanei, e possano riflettere sugli
enormi sacrifici che hanno fatto quelli della mia generazione per assicurare loro un futuro
migliore !!!!!!
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