Genitori, attenti: su mille ragazzi, 350 fanno uso continuo di cannabis, ad alta percentuale di principio attivo, e ne diventano dipendenti


di Elena Stancanelli, per La Stampa

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Su mille ragazzi, 350 fumano abitualmente cannabis, ma più dell’80% lo fa per un senso di necessità, come fosse una cura, perché sono fortemente traumatizzati (spesso per separazioni violente tra i loro genitori) soffrono di disturbi di ansia, fobia sociale. Il pusher è il loro medico. Quando incontrano me, mi trattano allo stesso modo: anche io sono un pusher, sono un pusher di terapia. Mi farà stare altrettanto bene, si chiedono».

Psichiatra e psicoterapeuta, il dottor Sergio de Filippis dirige Villa Von Siebenthal, a Genzano, vicino Roma. Fondata nel 1959 da un neuropsichiatra di origine tedesca, Wolfgang von Siebenthal, accoglie soprattutto adolescenti, e soprattutto adolescenti con problemi di tossicodipendenza. Con lui c’è Susanna Pacifici, neuropsichiatra infantile. Qui arrivano ragazzi dall’ospedale Bambin Gesù o dal Policlinico nelle fasi acute della crisi, quelle che i medici chiamano acuzie. La psichiatria cerca le cause lontano dall’episodio psicotico, confronta, tratta il disagio psichico, soprattutto quello degli adolescenti, come la punta esterna di un dolore profondo, che ha radici affondate in molte cose. «Tantissimi di questi ragazzi hanno questioni pre-morbose, traumi non risolti. Spesso sono stati adottati, bullizzati sia a livello fisico sia a livello psicologico. Noi ci accorgiamo dell’adolescente soltanto quando l’adolescente compie qualche cavolata. Ma cos’è successo prima?». L’adozione, mi spiega, è un percorso complicato che deve essere seguito, accompagnato da un percorso di psicoterapia. E si porta dietro due traumi: quello dell’abbandono subito dal figlio da parte della madre biologica, e quello della madre affidataria, che spesso è una donna che non è riuscita ad avere figli e ha subito il dolore di quello che percepisce come una sua impotenza. «Vediamo genitori che dicono “non lo voglio più, perché non era come me l’hanno descritto”. Vediamo ragazzi abbandonati ai servizi, o qui. Li restituiscono, capisce? O coppie che dopo l’adozione si separano. Cosa succede a quel figlio in quel momento? Per non dire dell’epigenetica. Bisognerebbe sapere come stava la madre, se durante la gravidanza la madre faceva uso di alcool o altre sostanze, dovrebbe esserci una sorta di database per potersi occupare nel modo giusto di quel bambino e molto spesso questo è impossibile. Attualmente abbiamo una ragazza ricoverata che viene dall’India. Perché potesse essere adottata le hanno dovuto cambiare la data di nascita: hanno dichiarato 16 anni ma potrebbe averne almeno diciotto. È arrivata qui in Italia, adottata da due persone benestanti e si è trovata spaesata. Ha vissuto tantissimi traumi, è grande, ricorda tutto, a volte ha dei flashback che la sconvolgono. È qui da noi in attesa di una sistemazione comunitaria perché a casa non riesce a stare. I genitori adottivi non riescono a gestirla e il percorso dovrà proseguire in una struttura».Nessuno dei ragazzi è presente oggi, sono in vacanza in Puglia tutti insieme, seguiti da una trasmissione televisiva che si intitola Fame d’amore, una docu-serie condotta da Francesca Fialdini. Molti di questi ragazzi sono arrivati qui per una dipendenza, e quindi parliamo a lungo di sostanze e del loro effetto sui ragazzi. «La dipendenza dell’adolescente è diversa da quella dell’adulto. Non si tratta quasi mai di cocaina eroina o alcool. I ragazzi sono dipendenti da Thc». Mi prende un colpo. Ma come, dico io, quindi esiste una dipendenza anche dalla marijuana o dall’hashish? «Adesso sì. Fino a qualche tempo fa la cannabis conteneva una percentuale di Thc molto bassa, tra il 3 al 5% e dunque non dava dipendenza. Adesso la più leggera è arrivata al 17%. Ma l’erba californiana o quella che viene da Amsterdam – tra queste la cosiddetta Gorilla o la Bruce Banner – può arrivare al 31%. E questo ovviamente cambia tutto». Ma com’è possibile, chiedo, cosa è successo, come ci sono riusciti? «Sono trattate chimicamente o geneticamente modificate. Sa che cosa produce una percentuale simile di Thc nel cervello di un adolescente?». Non ne ho idea, ovviamente, ma comincio a pensare che non sia niente di buono. «La canna non ha lo stigma sociale dell’eroina, anche se fumi parecchio, se inizi a fumare la mattina e vai avanti tutto il giorno, non ti senti un tossico. I genitori per evitare conflitti o semplicemente perché non ne capiscono il pericolo, permettono ai figli di fumare in casa. Ma cosa significa farsi le canne? Se io e lei ci facciamo una canna domenica per rilassarci e chiacchierare, non succede niente, ma un ragazzino che fuma, e fuma sempre di più, e soprattutto fuma in casa da solo, si trasforma in un ritirato sociale. Oltre al fatto che, come dicevo, il cervello di un ragazzino è diverso da quello di un adulto».

Spoiler: qui arriva la parte più tosta per i genitori che stanno leggendo questo articolo. Ma anche per i ragazzini, a patto che ce ne sia qualcuno. E se non ci fosse, potrebbe essere una buona idea che quei genitori che si terrorizzassero facessero leggere le righe che seguono a quei figli che da soli non lo leggerebbero. Mi rendo conto che ci sono metodi più eleganti del terrore per convincere qualcuno a non fare qualcosa che può fargli molto male. Ma il terrore, purtroppo, è molto efficace. Dunque: «Il genitore adulto si rende conto del problema quando il ragazzo comincia a spaccare tutto, quando comincia a tagliarsi, a bruciarsi, a parlare con entità strane… ma questi comportamento derivano dall’eccesso di dopamina. La dopamina arriva al cervello attraverso due proteine: la parvoalbumina e la colecistochinina. Che vengono prodotte dall’intestino ma provocano gli stimoli al livello della corteccia cerebrale. La prima va a stimolare le cosiddette onde gamma che favoriscono il passaggio graduale della dopamina. Questi stimoli vengono controllati dalla seconda, la colecistochina, che contiene il ricettore del Thc. Quindi se io fumo tanto Thc, e chiudo quel ricettore, non posso più controllare il passaggio di dopamina e la dopamina corre, creando quei disturbi dell’umore». Ma le canne servono per rilassarsi, com’è possibile che producano questa eccitazione, chiedo io. «Sono geneticamente modificate. La Gorilla per esempio contiene sia la sativa (60%) che è eccitante, sia l’indica (40%) che è rilassante (la Bruce Banner 50 e 50) oltre a una lieve componente di Cbd. Ma il punto è la corteccia prefrontale. E questo è il vero guaio. La corteccia prefrontale si stabilizza tra i 26 e i 27 anni. Il sistema mesolimbico, che è il sistema del piacere, pieno di dopamina manda stimoli continui alla corteccia prefrontale, una corteccia prefrontale non perfettamente formata. E quindi si creano delle microlesioni, come delle ferite, che somigliano a dei piccoli ictus. Cosa che non avviene nel cervello di un adulto». Ma queste ferite poi si rimarginano chiedo in preda al panico. «Sì, se il ragazzo smette in tempo di assumere Thc. Lo stesso guaio lo combinano le amfetamine e la cocaina, il cui rischio principale è però l’infarto. Noi abbiamo visto ragazze morte per un ictus esteso da picco ipertensivo da cocaina, dovuto a un’occlusione dell’arteria cerebrale media. E ne stiamo vedendo tante».

C’è una differenza di genere nell’uso delle sostanze? «I maschi iniziano prima, col Thc e l’alcool, e tendono ad avere un poliuso, le ragazze hanno tendenzialmente un monouso. Ma frequentando persone più adulte spesso arrivano alla cocaina prima dei loro coetanei. Il problema delle ragazze è che corrono più rischi rispetto, per esempio, all’ecstasy. Il ciclo produce nel corpo di una ragazza un’alterazione dell’ormone antidiuretico, quindi sudano tanto, si disidratano e rischiano uno shock che può essere letale. Ma basta un cracker, un po’ di acqua in discoteca per salvare loro la vita. Nei paesi sviluppati del Nord Europa, i gestori delle discoteche offrono ai ragazzi crackers e succhi di frutta gratis. È un modo per non chiudere gli occhi davanti al problema e limitare il danno».

I ragazzi dunque, a giudicare dalla casistica a disposizione del dottor de Filippis e dei ricoveri a Villa Von Siebenthal, non amano molto la cocaina, preferiscono le anfetamine o l’Md, ma soprattutto il Thc. Al quale si avvicinano non per piacere ma come fosse una cura. Che differenza c’è tra l’azione di un farmaco, per esempio le benzodiazepine nel cervello – come quelle contenute nello Xanax – e altre sostanze come la cocaina? «La cocaina ha un’azione iper-stimolante e va ad agire sui ricettori dopaminergici, alternando anche i canali del calcio, lo Xanax agisce sui Gaba (i recettori del Gaba rispondono al legame dell’acido y-amminobutirrico, uno dei più importanti neurotrasmettitori inibitori nel sistema nervoso centrale dei vertebrati) che controllano l’ansia. L’effetto dello Xanax somiglia a quello del Cbd, calmante, o all’alcol. L’olio Cbd per esempio è un’ottima alternativa al Thc per chi ha problemi di ansia o insonnia, è protettivo, antiossidante, rilassa e non provoca nessun danno cerebrale. Anche gli oppioidi agiscono sui Gaba (tramite i recettori oppiodi mu, o Mor) e infatti sta di nuovo aumentando l’uso dell’eroina, non con il buco, ma fumata. Ma soprattutto aumenta l’uso dell’ossicodone in compresse, il depalgos per esempio. Che è un analgesico non troppo difficile da trovare. I medici li prescrivono per i dolori cronici, anche se gli oppioidi dovrebbe essere usati solo per dolori oncologici. Questi farmaci piacciono moltissimo ai ragazzi che li usano per ritrovare pace dopo essersi fatti qualsiasi cosa nei fine settimana. Cominciano anche da noi a esserci tante morti per Fentanyl, uno dei farmaci oppioidi più potenti in assoluto, che riescono anche ad estrarre dal cerotto». Come si esce dalla dipendenza, chiedo. «Noi qui adesso abbiamo un ragazzo di 14 anni che ha fatto a 12 anni il primo coma etilico e aveva una forte dipendenza da Thc. Adesso è completamente pulito ed è uno dei miei testimoni nelle scuole. Riesce ad avere appeal perché parla della sua storia. Bisogna agire presto, attorno ai 12-13 anni, quando più o meno iniziano l’uso di queste sostanze. È cruciale che, insieme ai farmaci, si metta subito in atto una terapia di ascolto. Bisogna lavorare sul disagio prima che si trasformi in disturbo. Bisogna ascoltare, cambiare l’ottica dell’intervento. Non serve un intervento poliziesco e in cronico, prevenzione. Quando lavori con i ragazzi di 12 anni non puoi dire loro “quella sostanza fa male” ma andare a vedere se ci sono dei contesti in cui la sostanza trova un terreno fertile. Così cambia l’ottica dell’intervento. Bisogna intervenire sui ragazzi tenendo lo sguardo all’altezza del ragazzo, non dell’adulto. Andare nelle scuole a parlare, portare la salute mentale nella classi destigmatizzandola. Lo stigma della salute mentale se lo porta l’adulto, e non l’adolescente, che vuole solo essere ascoltato e seguito, ha paura. Ma ascoltare vuol dire non solo condividere ma anche non condividere un suo pensiero. Quanti adulti al ristorante danno loro il tablet ai bambini per farli giocare e stare buoni? Ma in quel modo nel bambino il sistema mesolimbico, strettamente implicato nella percezione del piacere, si attiva e comincia a vedere quanto è piacevole il tablet e quindi comincia a richiederlo sempre di più. Siamo noi, spesso, a consegnare l’addict. Le cose di cui i ragazzi si fidano di più sono l’attenzione, e l’esempio. È questo il nostro compito».

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