Tra i tanti paradossi del voto che emergono nella letteratura economica e politica, c’è quello relativo all’astensione: perché non andare a votare se il costo del voto è così basso? Ebbene, in realtà per qualcuno votare costa, e anche molto: si tratta di coloro che studiano o lavorano “fuori sede”.
Chi può votare fuori sede…
L’art. 48 della Costituzione, forse il più conosciuto (o, perlomeno, uno dei più citati), recita al secondo e quarto comma rispettivamente che il voto è “personale ed eguale, libero e segreto” nonché che il suo diritto non è limitabile “se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”.
È evidente che tra il principio (un articolo della Costituzione) e la sua applicazione pratica bisognerà scendere a dei compromessi. Ma quando si tratta di diritto di voto l’impressione è che di compromessi se ne possono accettare davvero pochi. Addirittura, con legge costituzionale n. 1/2000, l’art. 48 è stato integrato dall’attuale comma 3 (in vigore dal 4/2/2000), che ha poi permesso, con legge 459/2001 (cosiddetta legge Tremaglia) e successivo regolamento (DPR 104/2003), di far votare anche i cittadini italiani residenti all’estero. Ai quali, peraltro, è garantita anche una minima quota di rappresentanza nelle due Camere.

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