Nell’arco di alcune generazioni, dallo scorcio del XII secolo al XIV, la più potente consorteria stanziata nelle terre a sud di Roma – nelle valli del Sacco e dell’Amaseno e nelle regioni di Sezze e Segni, territori verso i quali erano indirizzati gli interessi del Papato alla conquista del patrimonio della Chiesa1 –, impresse a questi luoghi una peculiare fisionomia attraverso la costruzione di castelli e chiese, e contribuendo inoltre al massimo sviluppo dell’abbazia di Fossanova2. La grandezza di ideali e prospettive del lignaggio che diede alla Curia romana eminenti porporati, ma in cui si distinsero anche figure dalla torbida personalità3, è registrata in due documenti d’eccezione: la cronaca familiare raccolta negli Annales Ceccanenses seu chronicon Fossae Novae4 e il testamento di Annibaldo de Ceccano redatto nell’agosto 1348 ad Avignone5. Munifici mecenati in campo artistico, accorti valorizzatori di antichi e nuovi culti (dell’apostolo Giacomo, ad esempio, anche attraverso l’impulso al pellegrinaggio galiziano, e del nuovo martire Thomas Becket)6, i de Ceccano vengono descritti dagli storici come una signoria rurale essenzialmente radicata nel territorio, sebbene non siano mancati esponenti del casato con ruoli di spicco nell’ambiente cardinalizio dell’Urbe7.

Così Alessandra Acconci, una delle più autorevoli storiche dell’arte in Italia, introduce il suo saggio Frammenti di un ciclo dei Mesi a Ceccano sugli affreschi i presenti nel castello dei Conti di Ceccano. Si tratta di un testo di cui raccomandiamo a tutti la lettura, per aver chiaro, una volta per tutte, il ruolo dei de Ceccano nella storia dal XII al XIV secolo, con particolare attenzione al loro mecenatismo che troverà in Annibaldo IV de Ceccano la sua massima espressione
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