Una tragedia ma anche un grande sforzo di solidarietà: il terremoto dell’Irpinia, 23 novembre 1980, fu per tanti di noi giovani di allora un modo per mettersi a disposizione del Paese. Ricordo ancora le riunioni affollate nella sala consiliare del comune di Ceccano, con il sindaco Papetti, con Rico Gizzi, con Tommaso Bartoli, con l’organizzazione dei soccorsi, la raccolta delle coperte, dei vestiti, dei generi alimentari, il camion del comune che venne caricato fino all’inverosimile e poi la partenza verso le zone colpite, in cui non c’era organizzazione dei soccorsi, non si sapeva nemmeno dove portare la roba raccolta. Ma, nonostante quella disorganizzazione che diede poi vita alla Protezione Civile Nazionale, ci misurammo con la necessità di soccorrere quelli che stavano in difficoltà. E lo facemmo tutti insieme, senza alcuna distinzione di parte. Quella tragedia contò oltre 3000 morti, fra cui il vescovo di Frosinone, mons. Federici, che fu travolto dalla sua casa natale a Castelgrande in Basilicata. Donammo il sangue, quando ancora non esisteva la cultura dei donatori, ci impegnammo perché non si poteva non fare nulla. Fu una grande esperienza di solidarietà civile. E poi nei mesi successivi l’impegno con l’Azione Cattolica Italiana che mise a disposizione la sua casa per i campi estivi, ad Acerno, per sostenere quelle popolazioni.

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nell’anniversario del terremoto dell’Irpinia e della scomparsa dell’arcivescovo Michele Federici