di Alessandro D’Avenia
«Margie lo scrisse perfino nel suo diario. Sulla pagina che portava la data 17 maggio 2157: Oggi Tommy ha trovato un vero libro!». Comincia così «Chissà come si divertivano», un racconto del 1955 del maestro della fantascienza, Isaac Asimov, in cui Margie e Tommy, 11 e 13 anni, trovano in soffitta un libro. Quell’oggetto, in cui le parole «non si muovono», è un reperto archeologico, sostituito da più di un secolo dai «telelibri», testi che scorrono sullo schermo tv come i titoli di coda di un film. Ma la sorpresa è ancora più grande quando i due scoprono che il libro parla di qualcosa a loro ignoto: la scuola. Nel 2157 ci sono infatti solo i «Maestri Meccanici», robot individuali che, in camera, spiegano e verificano: «La cosa che Margie odiava soprattutto era la fessura dove doveva infilare i compiti. Le toccava scriverli in un codice perforato che le avevano fatto imparare a sei anni, e il maestro meccanico calcolava i voti a velocità spaventosa». E nel marzo 2020 la scuola esiste ancora? Sì, ma a una condizione: se tutte «le» scuole sono chiuse, «la» scuola è rimasta aperta solo dove «scuola» è il nome che diamo alla relazione che sopravvive alla chiusura dell’edificio. Altrimenti aperta, una scuola, non lo è mai. «Questo è un tipo di scuola molto antico. Avevano un maestro, ma non un maestro regolare. Era un uomo» dice Tommy, e Maggie stupita risponde: «Un uomo? Come faceva un uomo a fare il maestro?». La scuola del passato era una comunità di ricerca guidata da maestri in carne e ossa: «Ci andavano i ragazzi del vicinato, ridevano e vociavano nel cortile, sedevano insieme in classe, tornavano a casa insieme. Imparavano le stesse cose, così potevano aiutarsi per i compiti e parlare di ciò che avevano da studiare. E i maestri erano persone».

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