di Alessandro D’Avenia
«Si mise in testa, lo sventurato, che era fatto tutto di vetro e, quando qualcuno gli si avvicinava levava urla tremende, supplicando con parole e ragionamenti assennati che nessuno gli si accostasse perché l’avrebbe rotto; perché lui era tutto di vetro, da capo a piedi». Così Miguel de Cervantes, in una delle Novelle esemplari (raccolta di racconti del 1613), descrive Tomás Rodaja (Rotella), un giovane avvocato soprannominato «dottor Vetro» che, come il Don Chisciotte che l’autore scriveva negli stessi anni, è un folle che dice la verità a chi si crede normale. Tomás è stato avvelenato da una donna con un filtro magico che non ha però ottenuto l’effetto desiderato, obbligarlo ad amarla, ma ha sortito tutt’altro esito: sopravvissuto per miracolo, il giovane è infatti convinto di essere diventato di cristallo. Indossa abiti larghi, non ha contatti ravvicinati, cammina solo al centro della strada, dorme sulla paglia e teme che le tegole dei tetti gli caschino addosso. I suoi amici cercano invano di aiutarlo: «Gli si gettavano addosso e lo abbracciavano, esortandolo a far caso e a osservare come non si rompesse. Tuttavia, tutto quel che si otteneva in questo modo era che il poveraccio si buttava a terra levando mille grida, cadeva quindi svenuto e per quattro ore non ritornava in sé».
In queste giornate drammatiche ci sentiamo di vetro anche noi. Fragili e impauriti da ogni contatto, ci siamo dovuti chiudere in casa. L’effetto è tanto inatteso quanto dirompente: le relazioni si mostrano nella loro nuda verità.

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