Elena Agostini ci racconta una considerazione di don Salvatore Boccaccio, vescovo di Frosinone fino al 2008: Stamattina in un cassetto ho visto un pezzo di stoffa che ho conservato perché un Natale ci servì a fare il vestito di S. Giuseppe e la tettoia del fruttivendolo nel presepe in episcopio.
Per don Salvatore era un momento di divertimento assoluto, tanto che a volte i personaggi se li costruiva da solo.
E ho ripensato alla frenesia della curia in questo periodo. Auguri, biglietti, indirizzi, risposte, l’albero nell’atrio, il presepe… un vero manicomio.
E poi l’arrivo dei pacchi regalo “per il vescovo”.
Una volta li mise tutti nell’atrio, avevano riempito tutto il pavimento e lui li divideva in base a chi dovessero andare. E si infuriava come un bisonte inferocito quando qualcuno gli proponeva di tenere per il vescovo qualche dono particolarmente buono. Raccontava di nuovo l’umiliazione che aveva subito da bambino quando la mamma con qualche risparmio era entrata in rosticceria e gli aveva comprato un suppli ed era stata pesantemente redarguita dalla dama di san Vincenzo in pelliccia che di solito li aiutava con la spesa. “Pure il povero ha diritto al supplì” era diventato per lui un ritornello esistenziale. Ripenso alla nostra carità finta, pruriginosa, che tutto è tranne che condivisione. La mensa di strada mi ha segnato profondamente perché mi mette in discussione.
Mi sento umiliata che qualcuno debba venire da me a chiedere di poter mangiare, a tendere la mano per avere un piatto di pasta in più. Mi sento umiliata e mi vergogno perché faccio parte e alimento un sistema iniquo che mette in fila la gente in cassa per i regali di Natale e gente in fila per un pezzo di pane. E mi sento bugiarda quando mi faccio quel segno di croce, senza alcun merito, in memoria di una condivisione vera, senza sconti e senza scampo, fino alla fine.

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