Gli empi invocano su di sé la morte con gesti e con parole,
ritenendola amica si consumano per essa e con essa concludono alleanza,
perché son degni di appartenerle.
Dicono fra loro sragionando: «Spadroneggiamo sul giusto povero,
non risparmiamo le vedove, nessun riguardo
per la canizie ricca d’anni del vecchio.
La nostra forza sia regola della giustizia, perché la debolezza risulta inutile.
Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni;
ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze
contro l’educazione da noi ricevuta.
Proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara figlio del Signore.
È diventato per noi una condanna dei nostri sentimenti;
ci è insopportabile solo al vederlo, perché la sua vita è diversa da quella degli altri,
e del tutto diverse sono le sue strade.
Moneta falsa siam da lui considerati, schiva le nostre abitudini come immondezze.
Proclama beata la fine dei giusti
e si vanta di aver Dio per padre.
Vediamo se le sue parole sono vere;
proviamo ciò che gli accadrà alla fine.
Se il giusto è figlio di Dio, egli l’assisterà,
e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.
Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti,
per conoscere la mitezza del suo carattere
e saggiare la sua rassegnazione.
Condanniamolo a una morte infame,
perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».
La pensano così, ma si sbagliano;
la loro malizia li ha accecati.
Non conoscono i segreti di Dio;
non sperano salario per la santità
né credono alla ricompensa delle anime pure.
Sì, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità;
lo fece a immagine della propria natura.
Ma la morte è entrata nel mondo
per invidia del diavolo
e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono.
Dal libro della Sapienza 1, 16 – 2, 1a. 10-24
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