di don Marco Pozza
Per telefono la domanda è stata così fine che, quando l’ho capita nella sua ironia, non mi è parsa affatto villana, bensì il riflesso di un pensiero intelligente: “Hai sentito il discorso del Papa stamattina?” La mattina era quella di venerdì, il giorno di Auschwitz e di Birkenau, del concentrare per sterminare una razza. Quel discorso non è stata una questione di udito: non c’è stato nessuna parola da ascoltare, dal momento che Francesco ha sposato l’azzardo del silenzio: «Il silenzio è una delle grandi arti della conversazione» (W. Hazlitt). Il suo primo discorso senza parole, forse quello che avrebbe fatto battere il cuore al principe e alla volpe di Antoine de Saint-Exupéry: le parole, certi giorni, rimangono una sgradevole fonte di malintesi. Lui, con passi taciturni e barcollanti, ha scelto di tacere, fin quasi a portare il mondo dentro il suo silenzio. Loro, la folla giovane della GMG, l’ha seguito col cuore, sfiorandolo con lo sguardo. Uniti da una domanda ch’è stata il preludio del loro dialogo di queste giornate di festosa preghiera: «Vuoi una vita piena? Comincia con il lasciarti commuovere».
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