400 ragazzi attenti ad ascoltare la voce pacata di Marika Venezia che raccontava l’indicibile, come un ragazzo di 18 anni, Shlomo Venezia, potesse, spinto dalla fame e dalla disperazione, accettare di preparare per i forni crematori i cadaveri usciti dalle camere a gas, lo spettacolo dei morti ammucchiati l’uno sull’altro e sconvolti dalla violenza della camera a gas. Le parole hanno lasciato il segno all’auditorium diocesano di Frosinone, dove stamane, 14 marzo, l’Ufficio Scuola della diocesi ha organizzato la Giornata della memoria, invitando gli allievi delle scuole superiori. Marika Venezia, intervistata da Matteo Limongi, ha pacatamente raccontato la vita di suo marito, che lei conobbe dopo l’esperienza del campo di Auschwitz Birkenau, dove Shlomo arrivò nella primavera del 1944, dopo 11 giorni di terribile viaggio. Forse la sua prestanza fisica e la sua acutezza
nel cogliere le situazioni, gli consentirono di lasciare la baracca ed essere scelto per il Sonderkommando, la squadra di coloro che lavoravano, 12 ore al giorno, dentro i forni crematori, appositamente costruiti per la fabbrica dello sterminio. Shlomo non sapeva cosa fosse il Sonderkommando: si ritrovò con un paio di forbici in mano a dover tagliare i capelli a migliaia di poveri cristi, gasati con lo ziklon b, soltanto per il fatto di essere suoi correligionari. Shlomo non raccontò mai la sua esperienza fino a quando all’inizio degli anni 70, a Roma cominciò a vedere in giro svastiche e scritte antisemite. Allora si rese conto che non poteva più tacere: da allora Shlomo ha testimoniato dei forni, dell’orrore, della cattiveria immensa dell’uomo. Dopo la morte del marito, Marika ha preso il testimone che ora consegna ai giovani in tanti incontri come quello di stamattina
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