di Alessandro D’Avenia
In una scuola del nord Italia, una bambina di prima elementare, annoiata dalla lezione, ha chiesto di andare al bagno ma, passata sotto le sbarre del cancello di ingresso, ha preso la via di casa e in pochi minuti è tornata dalla mamma, sgomenta tanto quanto l’insegnante.
Non posso certo farne l’emblema della scuola italiana (anche se i numeri della nostrana dispersione scolastica me lo permetterebbero), perché sarebbe una generalizzazione ad effetto, ma inefficace, ma non rinuncio alla forza dell’episodio, che ha validità di exemplum. Perché non riusciamo a rendere la scuola interessante, tanto da provocare la fuga di tanti, persino i bambini che del sapere hanno ancora lo stupore e quindi il sapore? Si cade spesso nel tranello di una scuola divertente, ma l’alternativa ad una scuola noiosa non è una scuola divertente (con buona pace di chi invoca la panacea dei mezzi digitali, che mezzi sono e mezzi restano, così come la parola resta la tecnologia più avanzata a nostra disposizione), ma una scuola interessante. Interessante vuol dire porre l’essere (-esse) dentro (inter-), così da coinvolgerlo in ogni sua dimensione: corporea e spirituale. Solo questo genera sapore e stupore e quindi sapere. Ma perché le cose non vanno come potrebbero andare? Perché abbiamo creato un ambiente e un modo di fare scuola che sembra ritorcersi contro noi stessi?
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