Intervista con il filosofo sull’esito dei lavori sinodali
di GIACOMO GALEAZZI
«È una data storica. Francesco ricompone una disputa millenaria». Il filosofo Massimo Cacciari si unisce al cardinale domenicano Christoph Schönborn, nell’attribuire al fondatore dei gesuiti, Ignazio di Loyola, la «vittoria al Sinodo».
La riammissione ai sacramenti per i divorziati risposati viene affidata al «discernimento» dei confessori, caso per caso. È un compromesso?
«Sì ma nel senso migliore del termine: quello della Compagnia di Gesù. Il Sinodo ha seguito Francesco sulle orme di sant’Ignazio. Non è il mettersi d’accordo fingendo di ignorare le differenze. È il riconoscimento, da sempre praticato dai Gesuiti, della complessità civile ed etica del contesto mondano, con la necessità di accompagnarlo nelle sue valutazioni. Ciò non significa cedere ai princìpi e ai comportamenti mondani, bensì riconoscere la realtà e muoversi al suo interno per cambiarla».
È una strategia “politica”?
«Sì. La Chiesa di Francesco non si confonde con l’etica mondana ma si colloca al suo interno per influenzarla da dentro. La linea di Bergoglio è chiaramente la stessa applicata sempre e ovunque dai Gesuiti. In Sud America, Cina, India. Nei secoli questa strategia è stata politicamente avversata non solo dai reazionari ma anche dai radicali come Giansenio e Pascal, per i quali il Vangelo deve essere una spada nel mondo e il discorso cristiano deve essere netto: o sì o no. Al Sinodo si è riproposto uno storico dissidio nella Chiesa che andrà affrontato. Francesco è coerentemente un gesuita, nella sua accezione più nobile».
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