di Carlo Ossola
Doveva essere una serrata Apologia del Cristianesimo e riuscì un insieme frammentario di acute meditazioni, lampi di moralista, sguardi sull’infinito, ma nulla di compiuto, quasi lo scrivere fosse l’intermittenza di un rivelarsi che continuamente s’allontana: «Scriverò qui i miei pensieri senza ordine, ma non forse in una confusione senza progetto. È questo il vero ordine, che impronterà il mio oggetto con il disordine stesso. Farei troppo onore al mio oggetto se lo trattassi con ordine, poiché voglio dimostrare che esso non ne è capace» [B373]; «Il caso fornisce i pensieri e il caso li toglie; non v’è arte alcuna né per conservarli né per acquisirli.
Pensiero sfuggito: lo volevo scrivere; scrivo soltanto che mi è sfuggito»
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